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Il lavoratore deve indicare al giudice in maniera specifica il tipo di danno che assume di aver subito a causa della sua dequalificazione

Il lavoratore deve illustrare in modo completo i fatti dannosi

La Corte d'Appello di Genova, confermando la sentenza del tribunale della stessa sede, ha rigettato la domanda al risarcimento del danno alla professionalità da privazione delle mansioni lamentata da una lavoratrice per la durata di 11 mesi.

La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla controversia e ha affermato il principio giurisprudenziale che riportiamo “Questa Corte ha già precisato (tra le tante, Sez. L, Sentenza n. 26666 del 06/12/2005) che il prestatore di lavoro che chieda la condanna dei datore di lavoro al risarcimento dei danno subito a causa della lesione dei proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita - lesione che, per l'appunto, si profila idonea a determinare una dequalificazione dei dipendente stesso - è tenuto ad indicare in maniera specifica il tipo di danno che assume di aver subito ed a fornire la prova dei pregiudizi da tale tipo di danno in concreto scaturiti e dei nesso di causalità con l'inadempimento (prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una sua valutazione, anche eventualmente equitativa e che può essere data, ai sensi dell'art. 2729 cod. civ., anche attraverso l'allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti); a tal fine, possono essere valutate nel caso di dedotto danno da demansionamento, quali elementi presuntivi, la qualità e quantità dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata dei demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata dequalificazione.

Rimane, naturalmente, affidato al giudice di merito - le cui valutazioni, se sorrette da congrua motivazione, sono incensurabili in sede di legittimità - il compito di verificare, di volta in volta, se, in concreto, il suddetto danno sussista, individuandone la specie e determinandone l'ammontare, anche, se dei caso, con liquidazione fondata sull'equità.

Nella specie, la corte territoriale ha, con motivazione corretta ed adeguata, escluso la ricorrenza di un danno al bagaglio professionale del lavoratore ed alla sua immagine verso l'esterno, in considerazione della durata del preteso demansionamento e della mancata deduzione di elementi pur presuntivi idonei a dar ragione delle varie voci di danno asserite.

Non vi sono elementi per sindacare tale valutazione della corte territoriale; del resto, la ricorrente (salvo il solo richiamo all'esclusione da riunioni e all'affidamento del coordinamento a dipendente sottordinato, elementi in sé insufficienti per l'accoglimento delle pretese attoree) non deduce specifici elementi che non sarebbero stati valutati dal giudice di merito, indicativi del lamentato danno alla professionalità.”

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 dicembre 2015 – 3 marzo 2016, n. 4232

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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di caritàPer questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo