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PATTO DI PROVA E GRAVIDANZA

Licenziamento possibile se la prova non si supera


Quesito: una lavoratrice, assunta in prova è rimasta incinta, può essere licenziata? La prova può essere sospesa per le assenze dovute alla gravidanza?

RISPOSTA
Sul licenziamento
Una lavoratrice in stato di gravidanza può benissimo essere licenziata al pari di un qualsiasi altro lavoratore che non abbia superato la prova. Nel caso della gravidanza bisogna, però, che nel momento in cui si comunica il licenziamento per mancato superamento della prova si indichino anche i motivi per cui questa prova non è stata ritenuta superata. Questo al fine di dare la certezza che il datore di lavoro non si sia indotto alla decisione della risoluzione a causa della sopravvenuta gravidanza. La motivazione in questo modo dà trasparenza e correttezza contrattuale al rapporto tra le parti.

Sulla sospensione della prova per gravidanza.
Per rispondere a questa parte del quesito, occorre preliminarmente esaminare il contenuto del contratto collettivo applicato al contratto di lavoro. Se il contratto collettivo quantifica la prova in giorni effettivi di lavoro va da sè che l’assenza della lavoratrice per gravidanza comporta l’irrilevanza dell’assenza nel conteggio dei giorni di prova. Il problema, invece, si pone se il contratto collettivo nella durata della prova non fa riferimento ai giorni effettivi di lavoro ma a quelli ordinari del calendario.
Ultimamente la Cassazione ha pronunciato una sentenza affermando che l’assenza dal lavoro per gravidanza sospende il decorso della prova. La Corte Cassazione ha così motivato questo suo orientamento:
" Il Collegio non ignora che in passato sono emersi nella giurisprudenza di questa Corte orientamenti non omogenei sul punto della sospensione, o meno, del periodo di prova a seguito della fruizione di un periodo di ferie, o di altri eventi che comportino la sospensione della prestazione lavorativa.
Per la risoluzione del problema si deve tener conto della funzione del periodo di prova concordato tra le parti, che è quello di consentire alle parti stesse di verificare la convenienza della collaborazione reciproca.
La durata del periodo viene determinata nel tempo che le parti ritengono adeguato per questa verifica. Se nel corso del periodo previsto per la prova, oppure di una parte di esso, la prestazione del lavoro non è effettiva per ragioni che non rientrano nel normale svolgimento del rapporto e che non erano previste al momento della stipulazione del patto, le parti non hanno a disposizione, per effettuare la propria valutazione, una prestazione lavorativa la cui durata si sia prolungata per tutto il tempo che avevano ritenuta necessaria.
Appare preferibile, perciò, la linea giurisprudenziale ormai prevalente, secondo cui, "in difetto di diversa previsione contrattuale, il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso, stante la finalità del patto di prova, in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l'infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell'attività del datore di lavoro, e, in particolare, il godimento delle ferie annuali, il quale, data la funzione delle stesse di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova." (Cass. civ., 24 ottobre 1996, n. 9304; nello stesso senso, recentemente 13 settembre 2006, n. 19558).
Come criterio generale quando dunque la contrattazione collettiva stabilisce una durata del periodo di tempo rapportata ad una unità di tempo (a mesi, a settimane, ecc.) si deve ritenere che rientrino nel periodo stesso, e non ne sospendano la decorrenza, i giorni di mancata prestazione del lavoro per ragioni che rientravano nel normale svolgimento del rapporto e che perciò erano conosciute a priori, quali le festività ed i riposi settimanali, e che invece vadano esclusi, e comportino il prolungamento del periodo di prova, i giorni di mancata prestazione per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del contratto di lavoro in prova, quali le malattie, gli infortuni, la gravidanza, il puerperio, i permessi, lo sciopero, ecc..”(Cassazione sentenza n. 23061 del 5 novembre 2007).

Con riferimento alla sentenza della cassazione la lavoratrice ha un vero diritto alla sospensione della prova a causa della sua gravidanza.
Certamente la corte di cassazione, come da essa stessa affermato, esprime una sua interpretazione. Nulla esclude che in futuro altri giudici possano pensarla in modo diverso e negare questo indirizzo giurisprudenziale. 

COME PROCEDERE
Il datore di lavoro e la lavoratrice devono concordare esplicitamente che, in presenza della sopravvenuta gravidanza e della conseguente assenza dal lavoro, la prova sia sospesa per i giorni di assenza dovuti alla gravidanza.
Al fine di dare certezza a questa pattuizione è opportuno che le parti consacrino questa loro volontà in un accordo sottoscritto avanti l’Ufficio provinciale del lavoro o in sede sindacale per rendere l’atto inoppugnabile. Si avrà così a futura memoria la certezza assoluta della validità della soluzione adottata.

Milano, 30 aprile 2008

Pandora, la prima donna della mitologia greca che inaugura la discriminazione di genere

 Narra un mito greco che la prima donna mandata sulla terra dagli dei fosse Pandora, e che fosse stata inviata per punire gli uomini della loro superbia. In un tempo lontanissimo, infatti, sulla terra esistevano solo esseri di sesso maschile, quando l’eroe Prometeo (colui che guarda avanti), amico degli uomini, volle portar loro il fuoco e quindi il progresso.  Gli dei, irati per questo atto di disobbedienza, condannarono Prometeo ad una pena atroce e gli uomini ad aver bisogno delle donne.  A Pandora gli dei avevano donato sia un bell’aspetto che un cuore menzognero ed un’indole ambigua. La prima donna era stata definita “un male così bello” che nessuno le poteva sfuggire.   Ora, il fratello di Prometeo,  che si chiamava Epimeteo, un giovane impulsivo che non pensava alle conseguenze delle sue azioni ( il suo nome significa “vedo dopo”), si invaghì di Pandora e la portò nella sua casa. Alla donna era stato detto che non avrebbe dovuto mai aprire un certo vaso: quale migliore raccomandazione per cedere alla tentazione di aprirlo? Il vaso venne aperto. Fu così che tutti i mali, prima sconosciuti agli esseri umani, si diffusero sulla terra. Ma, per fortuna, sul fondo del vaso rimase attaccata solo la speranza, unica consolazione per l’umanità. 

 Il mito greco con questa narrazione ci fornisce la spiegazione sulle ragioni della differenza di genere attribuendo la radice di tutti i mali del mondo alla donna. Nella mitologia greca e nei secoli successivi, la posizione della donna è stata sempre connotata da emarginazione e discriminazione perché nel pensiero filosofico le si è attribuita la causa di tutti i mali del mondo. La donna nella nostra storia meno recente non ha mai avuto ruoli, tranne rarissimi casi. A questa concezione negativa della mitologia greca fa da parallelo, sulla riva opposta del mare Egeo, anche la narrazione del libro della genesi con la figura di Eva che, con il suo comportamento, ha causato la sua definitiva cacciata, insieme a quella di Adamo, dal paradiso terrestre. La cultura occidentale moderna affonda le sue radici nella storia e nei valori greco-giudaico-cristiani. Ben si comprende, quindi, la dura lotta delle donne per conquistare nell'epoca moderna la parità di genere sul lavoro. Pandora ed Eva, anche ai giorni nostri, costituiscono il subconscio e la subcultura con cui occorre confrontarsi nella lotta quotidiana per conquistare la parità di genere nella società, nelle istituzioni e anche sul luogo di lavoro.  

 

Divieto di discriminazione
è vietata la discriminazione fondata sul sesso avente ad oggetto:
l'accesso al lavoro, il trattamento retributivo, i premi, la qualifica,  le mansioni, la carriera e ogni altro aspetto del trattamento economico e normativo.
la discriminazione può essere diretta o indiretta. La discriminazione indiretta si ha quando un comportamento o una condotta che appaiono essere neutri in realtà discriminano in ragione del sesso.

 Dimissioni e maternità

La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.