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UTILIZZO ANOMALO DEL TFR E LICENZIAMENTO


Il T.F.R. in generale
L’istituto del T.F.R è disciplinato dall’art. 2120 c.c., il quale nella versione introdotta con la L. 29.05.1982, n. 297 stabilisce che “in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto”. La cessazione del rapporto è, dunque, l'evento che, per legge, integra il fatto costitutivo del diritto del lavoratore di pretendere l'erogazione della somma maturata al suddetto titolo e il "sorgere", a carico del datore di lavoro, della relativa obbligazione di pagamento. Il diritto in questione non va comunque confuso con il diverso diritto che matura anno per anno a favore del lavoratore in pendenza del rapporto e che ha per oggetto il mero accertamento dell'ammontare del trattamento già maturato, di fronte alla possibile contestazione della computabilità, di determinati elementi retributivi, onde predisporre i futuri conteggi e controllare l'esatta effettuazione degli accantonamenti cui il datore di lavoro è tenuto, nonché per verificare l'esatto importo delle anticipazioni che è possibile pretendere in relazione alle necessità precisate nel comma 8 dello stesso art. 2120 c.c. 

Maturazione del diritto e decorrenza della prescrizione
Il T.F.R. viene accantonato al termine di ciascun anno di lavoro attraverso il versamento di quote pari e non superiori all’importo della retribuzione dovuta per l’anno di servizio, diviso per 13,5 (all’incirca corrispondente al 7,40% della retribuzione). Come ricorda un ormai consolidato orientamento della Suprema Corte (da ultimo Cass. Civ., Sez. lavoro, 05-01-2007, n. 42), tale diritto si prescrive in cinque anni come prevede l’art. 2948 c.c. Sul punto, la giurisprudenza della Corte identifica nella data di cessazione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 2935 c.c., il dies a quo di decorrenza della prescrizione del diritto in questione (con la precisazione coerente che non comporta decorrenza della prescrizione medesima la corresponsione di eventuali anticipazioni nel corso del rapporto lavorativo, ovvero la comunicazione datoriale della misura degli accantonamenti utili ai fini della futura liquidazione del trattamento di fine rapporto: si veda Cass. Civ. 20 ottobre 2004 n. 20516; 19 gennaio 2000 n. 600, 18 novembre 1997 n. 11470) come pure il dies a quo di decorrenza, per il datore di lavoro, dell'obbligo di corrispondere gli interessi e la rivalutazione monetaria che l’art. 429 c.p.c. riconosce al lavoratore a compensazione dell'eventuale ritardo con cui riceva il suddetto trattamento (vedasi Cass. 21 maggio 2004 n. 9748, 4 aprile 2002 n. 4822, 12 marzo 2001 n. 3563, 10 agosto 2000 n. 10942).

Anticipazioni ed uso del T.F.R
Il trattamento di fine rapporto, costituendo parte della retribuzione che viene differita al momento del venir meno del rapporto di lavoro, in modo da lenire le difficoltà che la cessazione dell’attività lavorativa comporta, può comunque per legge entrare nella disponibilità materiale del lavoratore con un certo anticipo rispetto alla cessazione del lavoro. L’art. 2120 cc. prevede infatti che il lavoratore che abbia lavorato alle dipendenze dello stesso datore per almeno otto anni possa richiedere, in costanza di rapporto di lavoro, un anticipo del T.F.R non superiore al 70% dell’importo a cui avrebbe diritto in caso di cessazione del rapporto di lavoro alla data della richiesta dell’anticipo. La legge consente l’anticipazione qualora la richiesta sia giustificata per far fronte a spese sanitarie per terapie ed interventi sanitari riconosciuti dalle strutture pubbliche, per l’acquisto della prima casa per sé o per i figli, per le spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi non retribuiti per assistenza ai figli.
La giurisprudenza ha affrontato la problematica relativa alle conseguenze che possono derivare in capo al lavoratore, qualora quest’ultimo abbia destinato l’anticipo del T.F.R per fini diversi da quelli dichiarati al datore di lavoro nel momento in cui era stata presentata la richiesta dell’anticipo. La Cassazione con sentenza del 29.01.2007 n. 1827 ha stabilito che “la corrispondenza - o non corrispondenza - della specifica utilizzazione di somme (erogate dal datore di lavoro al lavoratore a titolo di anticipazione del T.F.R. e poi di mutuo) alla finalità dell'erogazione è fatto estraneo all'esecuzione degli obblighi del lavoratore”; pertanto un utilizzo “anomalo” dell’anticipazione del T.F.R. non lede necessariamente il rapporto di fiducia che deve sussistere tra il dipendente ed il datore di lavoro.
Quindi, aggiunge la Cassazione “la non corrispondenza con la finalità dell'erogazione non costituisce di per sé inadempimento d'un obbligo del lavoratore” e non giustifica di conseguenza un eventuale licenziamento disciplinare, in quanto il rapporto di lavoro è solo un titolo per la concessione dell’anticipo del T.F.R. 
Tuttavia l’oggettiva estraneità dell’uso del trattamento di fine rapporto non esclude comunque un riflesso che il comportamento può assumere sul piano del rapporto generale di fiducia che è alla base del rapporto di lavoro subordinato. Resta in ogni caso necessario che l'inadempimento sia valutato tenendo conto dell'accentuata tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della non scarsa importanza dell’inadempimento, prevista dall'art. 1455 cod. civ., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza d'un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, ovvero d'un comportamento tale che non consenta la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro (Cass. 24 luglio 2006 n. 16864).
Il mutamento dell’impiego dell’anticipo del trattamento di fine rapporto da parte del dipendente, l’assenza di un danno per il datore di lavoro e la mancanza di un intento speculativo o di un tentativo di nascondere l’utilizzo anomalo, costituiscono elementi che impediscono di qualificare il comportamento del lavoratore in termini di gravità tali da giustificare il recesso per giusta causa. Concludendo, se è vero che la legge disciplina puntualmente i requisiti che il lavoratore deve possedere per accedere all’anticipo del T.F.R. e le modalità dell’erogazione, essa tace in riferimento all’esecuzione del rapporto di lavoro ed agli obblighi che ne conseguono. Di sicuro, un utilizzo del T.F.R. estraneo agli impieghi per i quali era stato concesso può, in presenza di determinati elementi, incrinare il rapporto fiduciario che “è al fondo del contratto”. 

Pillole giurisprudenziali sul reintegro dei lavoratori in caso di licenziamento illegittimo
Costante e continuo si dimostra l’interesse della Corte di Cassazione nei confronti dell’istituto della reintegra dei lavoratori illegittimamente licenziati che godono della cosiddetta stabilità reale del posto di lavoro previsto dall’art. 18 della Statuto dei lavoratori come modificato dalla L. 108/1990. Due sono i principi che si vogliono analizzare in questa sede che si inseriscono in un filone di analisi specialistica di un istituto oggetto di innumerevoli dibattiti, giudizi e pronunce. Il primo verte sul rapporto che intercorre tra l’obbligo di reintegra di cui all’art. 18 Stat. Lav. ed il raggiungimento dell’età della pensione del lavoratore illegittimamente licenziato; il secondo si concentra sul rapporto tra il reintegro ed un eventuale successivo e ravvicinato licenziamento.

1) Rapporto tra reintegro e pensionamento
Sul secondo profilo va ribadito il principio con il quale si è precisato che "il compimento dell'età pensionabile o il raggiungimento dei requisiti per il sorgere del diritto a pensione, determinando solo la recedibilità "ad nutum" dal rapporto e non già la sua automatica estinzione, non ostano, qualora vengano a verificarsi durante la pendenza del giudizio di impugnazione del licenziamento, all'emanazione del provvedimento di reintegra del lavoratore e alla condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno ex L. 20 maggio 1970, n. 300 art. 18 comma 4, modificato dalla L. 11 maggio 1990 n. 108 nella misura corrispondente alle retribuzioni riferibili al periodo compreso fra la data del recesso e quella della reintegrazione, non giustificandosi per contro, al fine della liquidazione del danno subito dal lavoratore, alcun giudizio prognostico circa il termine nel quale, in relazione al raggiungimento della detta età pensionabile, il rapporto si sarebbe comunque interrotto, anche in assenza dell'illegittimo recesso" (v.Cass. 23.2.1998 n. 1908) Cass. civ. Sez. lavoro, 15-03-2006, n. 5635.

Milano 20/03/2007

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