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CESSIONE AZIENDA E OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO

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08/01/2014



Uno dei problemi più dibattuti in dottrina e in giurisprudenza è quello della solidarietà dell’acquirente di una azienda o di un ramo di essa per le obbligazioni esistenti al tempo della cessione.
La materia nel tempo ha avuto diverse discipline e molte interpretazioni l’una con l’altra contrastante.
L’attuale formulazione dell’art. 212 del cod. civile prevede testualmente che il lavoratore mantiene i suoi diritti “In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.”
La previsione sembra limpida nella sua formulazione ma non lo è. 
Si riporta per esteso la seguente sentenza della corte di cassazione che prospetta i vari problemi interpretativi e li risolve con una motivazione giuridica scientificamente corretta. Cassazione civile , sez. lav., 19 dicembre 1997, n. 12899.
“Dev'essere anzitutto esaminata la questione se sia applicabile, oppur no, ad ipotesi come quella di specie (riguardante, com'è incontroverso, credito di lavoro, pur avente la sua fonte in atto transattivo) la norma di cui al secondo comma dell'art. 2112 cod. civ., nel testo introdotto dall'art. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428 - che sancisce, nell'ipotesi di trasferimento d'azienda, l'obbligo solidale dell'alienante e dell'acquirente per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento -, e in particolare la questione se sia, o no, configurabile ai sensi del detto art. 2112, innovato, una obbligazione a carico del cessionario di azienda trasferita (pur in solido con il cedente) per credito di lavoro che attenga a rapporto di lavoro cessato in momento antecedente il trasferimento dell'azienda.
Va al riguardo posto in rilievo che il nuovo testo dell'art. 2112 cod. civ., è stato sostituito, al testo originario, dalla citata legge n. 428 del 1990 ("legge comunitaria per il 1990", correlata alla legge 9 marzo 1989 n. 86, recante le norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), avente ad oggetto "disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell'Italia alle Comunità Europee", ed in particolare dal suo art. 47, che ha dato attuazione, per mezzo di disposizione specifica immediatamente applicabile alle parti (e non per mezzo di delega al governo, come per altre direttive comunitarie), alla direttiva del Consiglio delle Comunità Europee n. 77-187 del 14 febbraio 1977, concernente il "riavvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti". La natura, dunque, comunitaria della legge nazionale innovativa dell'art. 2112 c.c. implica che la relativa normativa debba essere interpretata alla luce della lettera e della "ratio" della direttiva CEE attuata, e tenendo conto, altresì, della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea sull'interpretazione della direttiva stessa, quale enunciata anche nell'ambito di procedure di interpretazione pregiudiziale previste dall'art. 177 del Trattato CEE. Alla qual interpretazione, in detta sede espressa dall'organo giurisdizionale comunitario, il giudice nazionale deve uniformarsi, posto che soprattutto sul piano ermeneutico - come pure è stato affermato dalla Corte Costituzionale - l'ordinamento comunitario manifesta la sua prevalenza su quello nazionale, nel senso che, tra i molteplici possibili significati che possa presentare la norma statale interna, l'interprete è tenuto ad adeguarsi al significato che risulti più conforme al diritto comunitario (Cass. 23 agosto 1996 n. 7771; cfr. Corte Costituzionale 8 giugno 1984 n. 170, 22 febbraio 1985 n. 47, 23 aprile 1985 n. 113, 11 luglio 1989 n. 389; Corte Giustizia 9 marzo 1978, in causa n. 106-77).
3. - Nell'esaminare direttamente, dunque, la disposizione della direttiva CEE n. 77-187, ai fini di un'interpretazione corretta dell'innovato art. 2112 cod. civ. - e sempre con specifico riguardo alla sopra detta questione avente rilevanza nella specie -, si osserva che l'art. 3, punto 1 prima parte, della direttiva suddetta prevede, in maniera esplicita, che, nel caso di trasferimento d'azienda ad un nuovo soggetto imprenditore, siano trasferiti al cessionario obblighi (o diritti) del cedente derivanti da un rapporto di lavoro che sussista alla data del detto trasferimento (testualmente la direttiva sul punto recita: "I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento... sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario").
Tale previsione chiaramente esclude, pertanto, l'ipotesi del trasferimento, a carico del cessionario, di obblighi (o diritti) derivanti da rapporti di lavoro che, pur se già intercorsi con l'imprenditore cedente, non siano più esistenti (perché cessati, ed anche legittimamente, per una delle varie cause di risoluzione, come il recesso unilaterale di una delle parti od il consenso di entrambe) nel momento in cui il cessionario subentra nella titolarità dell'azienda.
Previsione, questa, che è del resto in armonia con la stessa titolazione della direttiva e con le relative premesse. Quivi è infatti indicato che le finalità della direttiva sono quelle di proteggere i lavoratori in caso di cambiamento dell'imprenditore, e di assicurare ad essi il "mantenimento dei loro diritti": dove l'espressione "mantenimento", appunto, consente di ritenere, stante il significato proprio della parola, che si sia inteso garantire al lavoratore la conservazione dei propri diritti, nei confronti del cessionario, sul presupposto che il lavoratore continui a rimanere tale nei riguardi dello stesso, e che perciò il rapporto permanga con il nuovo imprenditore e non sia già cessato prima della cessione.
Concordano con tale previsione (di cui al punto 1, prima parte, dell'art. 3) le restanti disposizioni del medesimo art. 3 della direttiva in esame. E così, in primo luogo, la disposizione della seconda parte del punto 1 ("Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del trasferimento....., sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro"), che chiaramente individua nel cessionario, evidentemente quale soggetto nei cui riguardi continua il rapporto di lavoro, il normale e naturale - e quindi principale - responsabile degli obblighi contrattuali, al quale può, eventualmente, essere affiancato come responsabile - ove lo Stato membro emetta apposita normativa in tal senso - anche l'imprenditore cedente: quest'ultimo, pertanto, in posizione concettualmente secondaria e accessoria (anche se la responsabilità sia prevista come solidale), appunto per l'eventualità e la non necessarietà della relativa configurazione di responsabilità.
Anche la disposizione del punto 2 dell'art. 3 della medesima direttiva comunitaria (n. 77-187), in tema di mantenimento delle condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo ("Dopo il trasferimento... il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest'ultimo per il cedente, fino ala data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell'entrata in vigore o dell'applicazione di altro contratto collettivo") ha come logico - ed ovvio - presupposto che il rapporto di lavoro, al quale la contrattazione collettiva va applicata, continui con il cessionario e permanga quindi anche dopo il trasferimento dell'azienda.
4. - Ciò ritenuto, deve pure rilevarsi che nel medesimo senso sin qui indicato è anche l'interpretazione data, alle disposizioni della direttiva CEE (n. 77-187) attinenti al punto in esame, dalla Corte di Giustizia europea (v. sentenze 7 febbraio 1985 in causa n. 19-83, e 11 luglio 1985 in causa n. 105-84): interpretazione enunciata in sede di procedura di interpretazione pregiudiziale e in tale ambito impegnativa per i giudici nazionali.
La Corte di Giustizia ha dunque in detta sede affermato, con riferimento alla disposizione dell'art. 3 punto 1 (dell'anzidetta direttiva), che, "interpretando questa disposizione letteralmente nelle varie versioni linguistiche, si evince che essa contempla i diritti e gli obblighi dei soli lavoratori il cui contratto di lavoro o rapporto di lavoro sussista alla data del trasferimento, non già quelli di coloro che non sono più dipendenti dell'impresa al momento del trasferimento". Ha inoltre precisato che la direttiva, in altro punto del medesimo art. 3, distingue espressamente tra "lavoratori" e "coloro che hanno già lasciato lo stabilimento del cedente al momento del trasferimento", sicché "il fatto che detta distinzione non figuri all'art. 3 n. 1, indica che ne vanno esclusi gli ex dipendenti"; e che questa interpretazione "è parimenti conforme al sistema e agli scopi della direttiva, la quale mira a garantire, nei limiti del possibile, la continuazione del rapporto di lavoro, senza modifiche, con il cessionario", con disposizioni "che riguardano unicamente i lavoratori dipendenti dell'impresa al momento del trasferimento, ma non quelli che hanno già lasciato l'impresa in detto momento" (così, testualmente, cit. Corte Giust. 7 febbraio 1985). La medesima Corte Europea ha significativamente ribadito (nella successiva sentenza dell'11 luglio 1985), a conferma dell'indirizzo interpretativo ora riferito, che le anzidette disposizioni della direttiva (n. 77-187) evidenziano come questa abbia lo scopo di "garantire la salvaguardia dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento di datore di lavoro, consentendo loro di restare alle dipendenze del cessionario nella stessa situazione convenuta con il cedente".
5. - Tutto ciò premesso e considerato, deve ritenersi che la norma dell'art. 2112 cod. civ. innovato (ex art. 47 legge n. 428-1990) ben possa essere interpretata, sul punto che qui rileva - avendo riguardo al significato proprio delle espressioni testuali usate ed alla intenzione del legislatore (ex art. 12 disposiz. sulla legge in generale) - in senso pienamente conforme alla direttiva comunitaria (n. 77-187) quale sopra esaminata e come sopra interpretata: direttiva per la cui attuazione nell'ordinamento nazionale, del resto, la stessa innovazione è stata specificamente predisposta.
La norma del nuovo art. 2112 cod. civ. deve intendersi pertanto riferita, nelle disposizioni di tutti e tre i suoi primi commi (sostituiti dal citato art. 47), alla ipotesi di rapporto di lavoro che, iniziato presso il datore di lavoro cedente (indicato come "alienante" dalla norma codicistica, riferita anche alle ipotesi di usufrutto e di affitto d'azienda) continui presso il nuovo, e cessionario, datore di lavoro (l'"acquirente").
A tale ipotesi di riferiscono, in maniera manifesta, il primo comma ("In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con l'acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano"), ed il terzo ("L'acquirente è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa dell'acquirente").
Parimenti è a dirsi per il secondo comma ("L'alienante e l'acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro"), evidentemente correlato alla corrispondente analoga previsione della direttiva comunitaria (art. 3 n. 1, seconda parte: v. sopra), e il cui disposto è pure riconducibile all'esercizio della facoltà ivi espressamente attribuita agli Stati membri della Comunità: la facoltà, cioè, di prevedere, a maggior garanzia del lavoratore il cui rapporto di lavoro sia stato trasferito al cessionario, un ulteriore soggetto responsabile, individuato nel precedente datore di lavoro.
La previsione di tale secondo comma, che non pone più quali condizioni per la responsabilità del cessionario la conoscenza o la conoscibilità, da parte sua, del credito del lavoratore, eventualmente risultante dai libri dell'azienda trasferita o dal libretto di lavoro - condizioni invece previste nell'originario testo dell'art. 2112 c.c. -, costituisce, in realtà, specificazione della disposizione del primo comma (ove è sancita la continuità del rapporto con l'acquirente e la conservazione dei conseguenti diritti del lavoratore, così tutelandosi l'anzianità e la professionalità dello stesso), con l'aggiuntiva previsione della responsabilità solidale del cedente.
Anche il riferimento lessicale ai crediti che "il lavoratore aveva al tempo del trasferimento" conforta la tesi (peraltro dibattuta, e con diverse soluzioni, in dottrina) che il soggetto creditore debba essere in attualità di lavoro al momento del trasferimento dell'azienda. Infatti la condizione di "lavoratore" (subordinato) non pare correttamente attribuibile indipendentemente e separatamente dalla contestuale sussistenza del rapporto lavorativo, non potendo davvero essere intesta - nella volontà del legislatore - come qualificazione personale destinata a permanere nel tempo, e quindi anche dopo la cessazione del detto rapporto ed anche nei riguardi di chi non sia più il corrispondente datore di lavoro (così come invece dovrebbe intendersi a voler ritenere la norma riferita - secondo la tesi recepita dal ricorrente - anche ai crediti rimasti insoddisfatti al momento del trasferimento dell'azienda, ma sorti e maturati nel corso di precedente rapporto di lavoro, già cessato e non più esistente in quel momento).
La disposizione del secondo comma, in esame, va dunque interpretata in connessione logica con quella del precedente comma, con la quale va coordinata e collegata: e il lavoratore creditore nell'obbligazione solidale (di cui al secondo comma del cit. art. 2112) deve essere pertanto identificato con il lavoratore "transitato" (di cui al primo comma), il quale conserva tutti i precedenti diritti, conseguenti alla prosecuzione del rapporto con il cessionario. 6. - La ora delineata interpretazione dell'innovato art. 2112 c.c- aderente alla lettera della legge ed all'intenzione del legislatore quale ricavabile anche dalla sua titolazione - trova riscontro pure nei lavori parlamentari (cui può invero attribuirsi valore interpretativo sussidiario nella individuazione della "voluntas legis").
Da tali lavori risulta chiaramente come la modifica dell'art. 2112 c.c. sia consistita essenzialmente nella soppressione della condizione della responsabilità del cessionario, costituita dalla conoscenza o conoscibilità, da parte dello stesso, dei crediti del lavoratore trasferito rimasti insoddisfatti al momento del trasferimento dell'azienda, e nella conseguente introduzione della piena e incondizionata continuità del relativo rapporto di lavoro pur nel mutamento della titolarità dell'impresa (e ciò in relazione, particolarmente, alla sentenza della Corte di Giustizia 10 luglio 1986, in causa 235-84, che aveva pronunciato condanna nei confronti dello Stato italiano proprio per la permanenza, all'epoca della decisione e in conseguenza della mancata attuazione della direttiva comunitaria, della originaria norma dell'art. 2112 c.c. che conteneva la sopra detta condizione di responsabilità), con l'ulteriore specificazione (quarto comma cit. art. 47 legge n. 428-1990) che siffatto mutamento non può di per sè costituire motivo di licenziamento, e con la previsione aggiuntiva (primo e secondo comma stesso art. 47) della necessità, nelle aziende di maggiori dimensioni, di preventive comunicazioni agli organismi sindacali per l'eventuale consultazione con gli stessi.
Ed infatti negli atti parlamentari è espressamente enunciata la finalità cui è diretta la modifica del citato art. 2112, quella cioè di conformare tale norma alle disposizioni dell'art. 3 della direttiva CEE (77-187), ivi specificandosi appunto che "l'innovazione consiste nel fatto che il previsto obbligo solidale dell'acquirente per i crediti dei lavoratori al tempo del trasferimento non è più subordinato al requisito della conoscenza o conoscibilità dei crediti stessi, non essendo tale requisito richiesto dalla direttiva" (v. relazione all'art. 43 del disegno di legge, comunicata alla Presidenza del Senato l'8 marzo 1990). Mentre, in chiaro riferimento alla medesima disposizione della direttiva, che appunto non assoggettava ad alcuna condizione - naturalmente per i crediti del lavoratore trasferito - la responsabilità dell'imprenditore cessionario, si pone in evidenza la finalità della nuova norma di "potenziare attraverso una opportuna modifica dell'art. 2112 c.c. le garanzie patrimoniali del lavoratore nei confronti sia del cedente che del cessionario" (v. relazione della I Commissione permanente, comunicata alla Presidenza del Senato il 28 giugno 1990).
Nessun cenno, benché minimo, è dato ravvisare, nei suddetti atti parlamentari riguardanti i lavori preparatori della legge, ad un presunto intento del legislatore del 1990 - che, ove esistente, sarebbe stato indubbiamente espresso, o sarebbe comunque risultato anche in tale sede preparatoria - di discostarsi dalle prescrizioni dell'art. 3 della direttiva comunitaria (quali pure interpretate dalla Corte di Giustizia), addossando all'imprenditore cessionario una responsabilità anche per crediti del lavoratore che non sia più tale nei confronti dello stesso, per essersi risolto il relativo rapporto di lavoro in momento anteriore al trasferimento d'azienda (e ciò - in ipotesi - con riferimento all'art. 7 della direttiva, che consente comunque agli Stati membri di dettare norma più favorevoli per i lavoratori).
7. - Al riguardo va altresì ricordato che la nuova norma non contiene più un'espressione, come quella dell'originario testo, che, nel prevedere l'obbligo solidale dell'acquirente per i crediti del lavoratore sussistenti al tempo del trasferimento, precisava che tra questi crediti (e sempre, peraltro, a condizione della loro conoscenza o conoscibilità) erano "compresi quelli che trovano causa nella disdetta data dall'alienante": inciso che costituiva il testuale - ed unico - elemento ermeneutico che appunto consentiva, sotto il vigore della precedente normativa (la quale, evidentemente, mostrava così di riferirsi anche al caso in cui, a causa della "disdetta", prevista nell'allora vigente regime di libera recedibilità per entrambe le parti del rapporto di lavoro, tale rapporto non continuasse con l'acquirente), di individuare i suddetti crediti in quelli ancora esistenti al momento del trasferimento, indipendentemente dalla contestuale permanenza, o meno, del rapporto di lavoro che li aveva originati (cfr., in relazione all'originaria norma dell'art. 2112 cit., tra le molte, Cass. 7 gennaio 1995 n. 209, 27 novembre 1992 n. 12665).
Per quanto sin qui argomentato, deve dunque concludersi affermando che, sotto il vigore dell'innovata norma dell'art. 2112 cod. civ. (ai sensi del citato art. 47 legge n. 428-1990), nessun elemento interpretativo sorregge l'assunto - correttamente disatteso dal Tribunale - che il cessionario dell'azienda sia obbligato per crediti del lavoratore, non soddisfatti, afferenti a rapporto di lavoro pregresso e non più esistente al momento del trasferimento dell'azienda. 8. - Corretto è pure il cenno fatto dal Tribunale all'art. 2560 cod. civ. ("Debiti relativi all'azienda ceduta"), ov'è prevista la responsabilità dell'acquirente per i debiti aziendali, "se essi risultano dai libri contabili obbligatori": la qual norma trova, naturalmente, applicazione anche ai crediti di lavoro maturati prima della cessione dell'azienda e riguardanti rapporti, con precedenti datori di lavoro, risoltisi anteriormente alla cessione stessa.
Ma ove sussista un siffatto credito, non risultante però dai libri contabili obbligatori, e difetti quindi il requisito essenziale per la responsabilità solidale dell'acquirente posto al detto art. 2560 (secondo comma), la norma dell'art. 2112 innovato non costituisce - in base a quanto sopra variamente s'è detto - fonte giuridica di una tale responsabilità.
Ad opinare diversamente - può pure da ultimo osservarsi - si perverrebbe oltretutto a conclusioni non condivisibili anche perché, in effetti, ben poco ragionevoli: dato che l'acquirente di un'azienda, pur senza avere alcuna conoscenza di un debito di lavoro contratto dai precedenti titolari e neppure risultante dai libri contabili obbligatori, e risalente in ipotesi anche a poco meno di un quinquennio ovvero di un decennio anteriori all'acquisto (ad un periodo, cioè, pur di poco inferiore alla durata della relativa prescrizione: cfr. art. 2948 n. 4 c.c. e, per il diritto alla qualifica, v. Cass. 26 luglio 1996 n. 6750), si troverebbe ciò nonostante, ad esserne ritenuto responsabile ed obbligato all'adempimento.
Il che si risolverebbe (come è stato puntualmente rilevato anche in dottrina) nel riconoscere in tal caso operante una sorta di responsabilità "oggettiva", di certo poco aderente ai principi generali dell'ordinamento in tema di responsabilità, sia contrattuale che extracontrattuale; e determinerebbe inoltre, sul piano pratico, una totale imprevedibilità dei costi aziendali, cui l'acquirente dell'azienda dovrebbe far fronte, che neppure può in qualche modo essere ragionevolmente ricondotta, anche se indirettamente, alle intenzioni del legislatore.”

Milano 18/09/2006

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