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Col figlio handicappato, diritto al trasferimento

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16/05/2024

Il lavoratore ha chiesto alla Rete Ferroviaria Italiana spa, suo datore di lavoro, di essere trasferito dall’Emilia in Campania, assumendo di essere genitore di un figlio affetto da handicap e che in questa qualità  aveva il diritto a “scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere come previsto dalla legge del 05/02/1992 - N. 104.  L’azienda ha respinto la richiesta. Il lavoratore si è rivolto all’autorità giudiziaria perché gli riconoscesse il diritto.

Il Tribunale prima e la Corte di Appello di Bologna, dopo, hanno accolta la domanda del lavoratore e hanno ordinato al datore di lavoro di trasferire il lavoratore nella sede da lui indicata.

Entrambi i giudici hanno ritenuto che il datore di lavoro non avesse dato prova idonea e rigorosa della sua impossibilità di poter utilizzare il lavoratore nella nuova sede richiesta dal lavoratore, benché l’onere probatorio fosse a suo carico. Le ragioni tecnico-organizzative e produttive del rifiuto del trasferimento dovevano essere di particolare rilevanza, Per i giudici del merito, dai documenti aziendale prodotti nella causa, è emerso che l’azienda, sia in Emilia che in Campania aveva posti vacanti e che in entrambe le regioni li ha coperti procedendo all’assunzione di circa 30 nuovi addetti. Questo nuovo personale era ben riconducibile alla figura professionale del lavoratore che aveva chiesto lo spostamento dall’una all’altra regione. L’azienda avrebbe ben potuto trasferire il lavoratore in Campania per potere assistere il figlio e, in sua sostituzione, assumere nel contempo un lavoratore in più in Emilia omettendo di assumerne un altro in Campania.

L’azienda, nonostante la doppia pronuncia dei due giudici, ha proposto ricorso in Cassazione che è stato respinto. La Cassazione, dirimendo la controversia, innanzitutto, ha sentito l’esigenza di sottolineare il contenuto letterale dell'art. 33, comma 5, della legge 104 del 1992, che disciplina la materia "il lavoratore … (che assiste una persona con disabilità in situazione di gravità) ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede".

La  Corte richiamando le sue precedenti pronunce, ha ribadito che “ la disposizione citata va interpretata nel senso che il diritto del lavoratore può essere esercitato, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell'assunzione, anche nel corso del rapporto di lavoro, deponendo in tal senso il tenore letterale della norma, in coerenza con la funzione solidaristica della disciplina e con le esigenze di tutela e garanzia dei diritti del soggetto portatore di handicap previsti dalla Costituzione e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con l. n. 18 del 2009, sempreché il posto risulti esistente e vacante.

 L'efficacia della tutela della persona con disabilità si realizza anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, in quanto il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è in funzione del diritto del congiunto con disabilità alle immutate condizioni di assistenza.

È posto a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza di ragioni organizzative, tecniche e produttive che impediscono l'accoglimento delle richieste del lavoratore incaricato di assistere un familiare disabile, spettando al giudice procedere al necessario bilanciamento, imposto dal quadro normativo nazionale e sovranazionale, tra gli interessi e i diritti del lavoratore e del datore di lavoro, ciascuno meritevole di tutela, valorizzando le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

La Corte ha ritenuto che l’azienda non ha dato la prova, di cui era onerata, delle ragioni tecnico-organizzative e produttive atte a giustificare il rifiuto al trasferimento del dipendente, sottolineando comele ragioni idonee a giustificare tale rifiuto "devono rivestire particolare intensità e rilevanza …"

Per la Corte il lavoratore, che aveva chiesto il trasferimento, svolgeva mansioni che erano fungibili con centinaia di colleghi e la sua posizione lavorativa poteva essere coperta anche da apprendisti abilitati.

Il ricorso dell’azienda è stato così definitivamente respinto, perché per la Corte di cassazione, l’azienda, in realtà, col suo ricorso in Cassazione non ha lamentato la violazione delle norme di legge bensì la selezione, l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio da parte della Corte di Appello e del Tribunale. Attività però che è preclusa avanti la Corte di Cassazione; particolarmente, come nel caso esaminato, allorché vi è stata una sentenza doppia conforme cioè entrambe le sentenze, quella del Tribunale e quella della Corte di Appello, hanno deciso la controversia nell’identico modo e con la stessa motivazione. Cassazione civile sez. lav depositata il 02/01/2024 n.47.

Pandora, la prima donna della mitologia greca che inaugura la discriminazione di genere

 Narra un mito greco che la prima donna mandata sulla terra dagli dei fosse Pandora, e che fosse stata inviata per punire gli uomini della loro superbia. In un tempo lontanissimo, infatti, sulla terra esistevano solo esseri di sesso maschile, quando l’eroe Prometeo (colui che guarda avanti), amico degli uomini, volle portar loro il fuoco e quindi il progresso.  Gli dei, irati per questo atto di disobbedienza, condannarono Prometeo ad una pena atroce e gli uomini ad aver bisogno delle donne.  A Pandora gli dei avevano donato sia un bell’aspetto che un cuore menzognero ed un’indole ambigua. La prima donna era stata definita “un male così bello” che nessuno le poteva sfuggire.   Ora, il fratello di Prometeo,  che si chiamava Epimeteo, un giovane impulsivo che non pensava alle conseguenze delle sue azioni ( il suo nome significa “vedo dopo”), si invaghì di Pandora e la portò nella sua casa. Alla donna era stato detto che non avrebbe dovuto mai aprire un certo vaso: quale migliore raccomandazione per cedere alla tentazione di aprirlo? Il vaso venne aperto. Fu così che tutti i mali, prima sconosciuti agli esseri umani, si diffusero sulla terra. Ma, per fortuna, sul fondo del vaso rimase attaccata solo la speranza, unica consolazione per l’umanità. 

 Il mito greco con questa narrazione ci fornisce la spiegazione sulle ragioni della differenza di genere attribuendo la radice di tutti i mali del mondo alla donna. Nella mitologia greca e nei secoli successivi, la posizione della donna è stata sempre connotata da emarginazione e discriminazione perché nel pensiero filosofico le si è attribuita la causa di tutti i mali del mondo. La donna nella nostra storia meno recente non ha mai avuto ruoli, tranne rarissimi casi. A questa concezione negativa della mitologia greca fa da parallelo, sulla riva opposta del mare Egeo, anche la narrazione del libro della genesi con la figura di Eva che, con il suo comportamento, ha causato la sua definitiva cacciata, insieme a quella di Adamo, dal paradiso terrestre. La cultura occidentale moderna affonda le sue radici nella storia e nei valori greco-giudaico-cristiani. Ben si comprende, quindi, la dura lotta delle donne per conquistare nell'epoca moderna la parità di genere sul lavoro. Pandora ed Eva, anche ai giorni nostri, costituiscono il subconscio e la subcultura con cui occorre confrontarsi nella lotta quotidiana per conquistare la parità di genere nella società, nelle istituzioni e anche sul luogo di lavoro.  

 

Divieto di discriminazione
è vietata la discriminazione fondata sul sesso avente ad oggetto:
l'accesso al lavoro, il trattamento retributivo, i premi, la qualifica,  le mansioni, la carriera e ogni altro aspetto del trattamento economico e normativo.
la discriminazione può essere diretta o indiretta. La discriminazione indiretta si ha quando un comportamento o una condotta che appaiono essere neutri in realtà discriminano in ragione del sesso.

 Dimissioni e maternità

La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.