17/09/2020
Una lavoratrice, già reintegrata nel suo posto di lavoro dal Tribunale presso la s.r.l. Yazaki Europe Limited Italia, ha lamentato di essere stata collocata non più presso la sede di (omissis) ma presso la lontana sede di (omissis), con mansioni deteriori, ciò che ha peggiorato le sue condizioni di salute costringendola ad una lunga assenza per malattia quasi sino all’esaurimento del periodo di comporto (09.11.15), sicché chiedeva (in data 06.11.15) un periodo di ferie di 20 giorni, che la società le accordava per un solo giorno (11.11.15) confermando quindi il detto trasferimento a (omissis), cui essa si opponeva trasmettendo certificazione sanitaria.
La Y.E.L.I. le contestava disciplinarmente le assenze ingiustificate dei giorni 20,23,24,25,26 novembre 2015, quindi in data 17.12.15 la licenziava per giusta causa.
La lavoratrice proponeva ricorso ex L. n. 92 del 2012 al Tribunale di Potenza che lo respingeva con ordinanza.
Con sentenza il Tribunale di Potenza respingeva il ricorso proposto dalla lavoratrice confermando l’ordinanza opposta, rilevando la consapevolezza da parte della lavoratrice della ingiustificatezza delle plurime assenze.
Avverso tale sentenza interponeva appello la lavoratrice; resisteva la s.r.l. Y.E.L.I..
Con sentenza depositata il 18.07.18, la Corte d’appello di Potenza respingeva il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice.
La cassazione ha accolto il ricorso perché “il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie, senza che a tale facoltà corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa; in un’ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, è necessario, tuttavia, che le dedotte ragioni datoriali siano concrete ed effettive. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata, che aveva ritenuto privo di giustificazione, in quanto fondato su ragioni vaghe ed inconsistenti, il rifiuto di concessione delle ferie motivato dalla società datrice con un generico riferimento a non meglio precisate esigenze organizzative dell’ufficio). Cfr. altresì Cass. n. 8834/17, n. 7433/16.”
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 10 luglio – 14 settembre 2020, n. 19062
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo