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Il contratto a tempo determinato, senza che l'azienda abbia il documento di valutazione dei rischi è nullo

Il lavoratore ha diritto ad essere considerato assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato

Un lavoratore ha impugnato il contratto a tempo determinato assumendo che l'azienda che l'aveva assunto, non aveva provveduto a formare il documento sulla valutazione dei rischi, violando così la previsione dell’art. 20, comma 1 lett. d del D.Lgvo n. 81/2015, che sancisce espressamente, con norma imperativa , l’inammissibilità del ricorso a tale tipologia contrattuale in assenza della  redazione da parte del datore di lavoro del documento di valutazione dei rischi, in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Il Tribunale di Milano ha respinto la sua domanda ma la Corte di Appello, riformando totalmente la sentenza del Tribunale, ha accolto l'impugnazione del lavoratore ritenendo che il datore di lavoro non aveva fornito la prova a suo carico ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., di aver assolto, in maniera specifica, all’adempimento relativo alla valutazione dei rischi , secondo quanto richiesto dalla normativa.
In questo contesto, per la Corte di Appello di Milano, la normativa richiamata dispone esplicitamente che il "contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato". La sentenza della Corte di Appello segue l'indirizzo giurisprudenziale della Cassazione per la quale “in materia di rapporto di lavoro a tempo determinato, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 3, che sancisce il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, costituisce norma imperativa, la cui ratio è diretta alla più intensa protezione dei lavoratori rispetto ai quali la flessibilità d'impiego riduce la familiarità con l'ambiente e gli strumenti di lavoro: con la conseguenza che, ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione, la clausola di apposizione del termine è nulla e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi dell'art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2 (Cass. 2 aprile 2012, n. 5241; Cass. 21 marzo 2017, n. 8212; Cass. 17 novembre 2017, n. 27335; Cass. 31 maggio 2018, n. 13959);  incombe pertanto sul datore di lavoro, che intenda sottrarsi alle conseguenze della violazione della indicata disposizione, l'onere di provare di aver assolto specificamente all'adempimento richiesto dalla normativa (Cass. 2 aprile 2012, n. 5241, punto 31 ss. in motivazione; Cass. 24 ottobre 2016, n. 21418);  ( così testualmente in motivazione Cassazione ordinanza n. 21683 del 23.8.2019)".
Il rapporto è stato così dichiarato a tempo indeterminato fin dal suo inizio. La Corte di Appello ha condannato l'azienda a riammettere in servizio il lavoratore nonché a corrispondergli una indennità  onnicomprensiva, ex art. 28 D.L.vo 81/2015, nella misura ritenuta congrua, valutati complessivamente  i criteri tutti previsti dall’art. 8 della legge 604/1966,  di 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.


Corte di Appello di Milano sezione lavoro Sentenza n. 394/2020 pubblicata il 03/03/2020.

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