28/01/2020
Un lavoratore, dipendente di un'azienda delle telecomunicazioni, ha utilizzato nell'esecuzione delle sue mansioni, per 15 anni, in modo continuo, il telefono cellulare per coordinarsi quotidianamente con 15 colleghi. Rimaneva al telefono da un minimo di due ore e mezza al giorno ad un massimo di oltre sette ore; a queste ore di esposizione era da aggiungere l'ulteriore tempo trascorso per riferire ai suoi superiori e per coordinarsi con il direttore dei lavori degli enti e con l e imprese esterne che collaboravano nei lavori. L'uso del telefono cellulare avveniva anche durante il fine settimana. Spesso l'utilizzo del telefono cellulare avveniva all'interno dell'abitacolo dell'autovettura.
Il lavoratore, dopo questo uso, prolungato nella giornata e negli anni, ha accusato, a causa dell'esposizione ai campi elettromagnetici ad alta frequenza, un tumore nella parte destra del capo (era soggetto destrimane).
Il lavoratore ha agito contro l'Inail per ottenere il riconoscimento della malattia professionale. Il tribunale, prima, e la corte di appello di Torino, dopo, hanno riconosciuto l'esistenza della malattia professionale. Entrambe le sentenze hanno accolto le conclusioni della consulenza medico legale che era stata espletata nella causa e che concludeva riconoscendo il nesso di causalità tra il tumore alla testa e l'uso del telefono cellulare. I giudici non hanno ritenuto credibili gli studi finanziati dalle aziende produttrici di telefoni cellulari che escludevano questo rapporto di causalità perché in evidente stato di conflitto di interessi.
Il lavoratore, promuovendo la sua azione giudiziaria, ha dovuto assolvere un particolare onere probatorio a suo carico perché si tratta di una malattia professionale non ancora tabellata dalla legge.
Per i giudici, il rapporto di causalità tra l'uso del telefono cellulare e l'insorgenza del morbo deve essere valutata facendo ricorso alla "ragionevole certezza" e non alla semplice mera possibilità.
Il lavoratore ha così ottenuto dall'Inail il risarcimento dei danni per il grave danno alla salute subito nell'esecuzione delle sue mansioni.
Corte di Appello di Torino, sez. Lavoro, sentenza 3 dicembre 2019.
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