26/09/2019
Un lavoratore, assunto alle dipendenze di una società come operaio specializzato con mansioni di incisore pantografista aveva ricevuto, al momento del suo rientro in servizio dopo una lunga assenza del malattia una lettera di licenziamento motivata dalla scelta organizzativa di chiudere il settore produttivo della bigiotteria, argenteria e ottone per il calo di commesse riguardante tale settore, con conseguente soppressione della posizione e della funzione ricoperta dal lavoratore in azienda e impossibilità di ricollocamento in altre mansioni uguali o equivalenti.
La Corte di appello osservava come la documentazione prodotta e la prova testimoniale avessero dimostrato l’inesistenza di un vero e proprio reparto di lavorazione dei materiali diversi dall’oro, la mancata adibizione esclusiva del reclamante a tali lavorazioni, il carattere marginale delle stesse rispetto al complesso della produzione aziendale, le maggiori esperienze e conoscenze del reclamante nel settore dell’incisione dell’oro rispetto a quelle dell’altro dipendente rimasto in servizio nonché l’assunzione, successiva al licenziamento, di una nuova dipendente che, nonostante il formale inquadramento come impiegata, di fatto era stata addetta anche alle lavorazioni dell’oro. A fronte di tale quadro probatorio, non si era in presenza di un’ipotesi di ristrutturazione aziendale, ma di un’ipotesi di mera riduzione delle mansioni del lavoratore relative alla cessazione di alcune lavorazioni, situazione peraltro inseritasi nel contesto di un andamento positivo del complessivo fatturato aziendale negli anni precedenti al recesso. Neppure era giustificata la scelta di licenziare quel dipendente in luogo di altro collega, meno anziano in servizio e con minori capacità e competenze.
La corte di appello ha dichiarato il licenziamento non solo illegittimo ma anche discriminatorio perché in realtà è stato intimato a causa delle assenze per malattia.
Contro la sentenza è stato proposto ricorso in Cassazione. Il ricorso è stato respinto. La cassazione ha ritenuto corretto il ragionamento dei giudici della Corte di Appello perché essi hanno escluso, preliminarmente, la sussistenza in concreto del giustificato motivo oggettivo addotto da parte datoriale a fondamento del recesso. Hanno poi posto in relazione tra loro gli elementi indiziari acquisiti al giudizio, per giungere alla conclusione finale che dal punto di vista oggettivo e soggettivo, il licenziamento “non presentava altra spiegazione che il collegamento causale con l’assenza per malattia.”
La sentenza della Corte di Appello, in applicazione dell’art. 18 stat. lav., comma 1 come modificato dalla L. n. 92 del 2012, condannava la società a reintegrare il lavoratore nel suo posto e a risarcirgli il danno in misura pari alle retribuzioni dal giorno di licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma mensilmente rivalutata dalle singole scadenze al saldo e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 23583/19; depositata il 23 settembre.
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