30/04/2019
Il tribunale di Roma , pronunciandosi sull'impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato dall'azienda, dichiarava illegittimo il recesso. Nel contempo, però, il tribunale dichiarava risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannava il datore di lavoro al solo pagamento di un'indennità risarcitoria pari al 22 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto percepita, oltre accessori. Contro la sentenza proponeva reclamo il lavoratore assumendo che il licenziamento aveva in realtà natura ritorsiva con la conseguente esistenza del suo diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro con il risarcimento del danno. La corte di appello, riformando la sentenza del tribunale, rilevava che in effetti il licenziamento per giustificato motivo oggettivo era infondato perché le mansioni già svolte da quel lavoratore erano state assegnate ad un altro lavoratore e che l'assunta riorganizzazione aziendale era del tutto inesistente considerato che la riorganizzazione sarebbe stata programmata nel 2011 ma il provvedimento del licenziamento adottato nel 2015. Il licenziamento, per la corte di appello, in effetti era connesso alle rivendicazioni economiche con la rivendicazione del diverso e superiore inquadramento richiesto in precedenza dal lavoratore e con la circostanza della fruizione di un periodo di malattia da parte dello stesso collaboratore. Queste circostanze sono state utilizzate dalla corte di appello come indizi univoci e concordanti per affermare la natura ritorsiva del licenziamento intimato al lavoratore. Dalla natura ritorsiva del licenziamento consegue l'obbligo aziendale della reintegrazione nel posto di lavoro.
L'azienda ha reagito alla sentenza della corte d'appello proponendo ricorso in cassazione con la prospettazione di ben 7 motivi. La cassazione, però, ha rigettato integralmente tutti i motivi proposti perché inammissibili: per la cassazione il datore di lavoro con i suoi motivi intendeva ottenere una diversa valutazione di fatti di causa. Ma la cassazione non ha il potere di intervenire sulla valutazione dei fatti perché questa valutazione è rimessa interamente ai giudici di merito. Il ricorso datoriale, pertanto, è stato dichiarato inammissibile e respinto.
Cassazione sentenza numero 11.352, resa pubblica il 29 aprile 2019.
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo