17/02/2019
La Regione Valle d’Aosta assume un’impiegata con reiterati contratti a tempo determinato dal 2004 al 2009. La lavoratrice agisce contro la regione chiedendo la conversione del suo contratto a tempo indeterminato, fin dalla dal primo dei plurimi contratti a termine. Il tribunale di Aosta ha negato la conversione del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. Questa statuizione è stata confermata dalla Corte di Appello di Torino. La Cassazione ha riconfermato questa statuizione, richiamando i principi affermati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte europea. Per l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni occorre il concorso pubblico. Senza concorso pubblico non si può instaurare un rapporto di diritto pubblico a tempo indeterminato. Il principio dell’accesso mediante concorso rende palese la differenza esistente tra il rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto a quello alle dipendenze di soggetti privati. La violazione delle norme in materia di contratti di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione comporta conseguenze solo risarcitorie e patrimoniali ma senza la conversione del rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati.
Il concorso pubblico è lo strumento di selezione del personale, in linea di principio, più idoneo a garantire l’imparzialità e l’efficienza della pubblica amministrazione. Il concorso pubblico costituisce la modalità generale e ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, anche delle Regioni pure se a statuto speciale. Il concorso pubblico invece è strumento del tutto estraneo alle assunzioni nel settore privato.
La pubblica amministrazione che ricorre in modo abusivo ai contratti a tempo determinato può ben essere condannata al risarcimento dei danni subiti dal lavoratore , anche in misura integrale del danno purché ne sia data la prova, anche con presunzioni.
La Cassazione ha cosi sintetizzato i principi che regolano la materia:
a) "In materia di pubblico impiego privatizzato, nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all'art. 32, comma 5, della I. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l'indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l'onere probatorio del danno subito" (Il principio è stato ribadito da Cass. nn. 4911, 4912, 4913, 16095, 23691 del 2016 e da nn. 8927 e 8885 del 2017 e da molte altre successive).
b) "In materia di pubblico impiego privatizzato, il danno risarcibile di cui all'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non deriva dalla mancata conversione del rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per quelli europei, bensì dalla prestazione in violazione dì disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è configurabile come perdita di "chance" di un'occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell'art. 1223 c.c.". Sent. Sez. Lavoro Num. 4236 Anno 2019 Data pubblicazione: 13/02/2019
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo