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LE NUOVE NORME DEL CONTRATTO A TERMINE FANNO PERDERE POSTI DI LAVORO?

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18/07/2018

Esame del nuovo decreto legge dignità del mese di luglio 2018

Il Governo, ritenuta esistente una straordinaria urgenza e necessità, ha  emanato un decreto legge allo scopo dichiarato di difendere “la dignità dei lavoratori”. Questo decreto è stato così chiamato "decreto dignità". Questo decreto prevede una diversa e parziale disciplina di alcuni istituti del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, del contratto di somministrazione di lavoro erogato alle aziende attraverso le agenzie di lavoro, l'elevazione del minimo e del massimo delle indennità risarcitorie a favore dei lavoratori che non hanno le tutele dell’art. 18 dello statuto, per essere stati assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo del 2015. Il richiamo al concetto di dignità dei lavoratori, come fine delle nuove discipline, vuol far intendere l'adozione di misure dirette a far ottenere una tutela più forte e incisiva rispetto al passato, della posizione del lavoratore nei suoi rapporti con l'impresa.  Ma la posizione del lavoratore, con questo nuovo decreto, in verità, al di là dell'eccessivo richiamo alla "dignità", esce comunque tutelata in modo significativo rispetto al passato recente, anche se, ovviamente, permangono delle zone della disciplina giuridica in cui si è preferito continuare a privilegiare le esigenze dell'impresa.

Per la dignità del lavoratore, ad essere coerenti con la parola usata, occorrerebbero provvedimenti ben più incisivi per disciplinare situazioni che la legge Fornero del 2012 e il Jobs Act di Renzi del 2015 hanno eliminato, compresso o limitato.  Anche il contratto a termine poteva essere destinatario di una disciplina più limitativa rispetto a quella adottata dal nuovo decreto. Per la prima volta, comunque, dopo anni che hanno visto l'emanazione di leggi promulgate a raffica con lo scopo dichiarato di ridurre la stabilità del posto di lavoro, con il nuovo decreto legge del mese di luglio 2018, che si ispira alla salvaguardia della dignità dei lavoratori e delle persone, si è voluto invertire questa tendenza che, ormai, si era consolidata negli anni passati. Il primo colpo alla stabilità del posto di lavoro è stato inflitto dalla legge Fornero, il secondo dalla liberalizzazione indiscriminata dei contratti a termine e il terzo dalle tutele crescenti del Jobs Act.

In questo nostro articolo  aalizziamo  solo quelle norme che modificano l’attuale disciplina, tralasciando tutti gli altri istituti che continuano a regolare la materia come prima. Queste nuove norme non hanno incidenza sulla spesa pubblica. È un provvedimento a costo zero per lo Stato.  C’è da prevedere un aumento del contenzioso giudiziario perché, come insegna il passato, le imprese cercheranno di forzare le previsioni della nuova legge, adottando il contratto a tempo determinato in modo illegittimo. Se le leggi non si osservano e i diritti dei lavoratori alla stabilità del posto di lavoro si calpestano, ovviamente, i lavoratori saranno costretti a dover ricorrere ai giudici per ottenere il rispetto di quelle norme. La colpa dell’eventuale aumento del contenzioso non è delle leggi, ma di chi infrange e viola quelle leggi. Le imprese virtuose devono avere l’accortezza di conoscere la legge e applicarla. In questo modo non avranno aumenti dei costi e potranno sempre usufruire di quella flessibilità che la legge, comunque, consente di avere anche con le nuove norme. Un anno di contratto a termine liberalizzato totalmente consente ampi margini di manovra per soddisfare le più varie esigenze di flessibilità, senza lacci e lacciuoli.

Molti temono che il decreto dignità faccia perdere posti di lavoro e sia un incentivo al lavoro nero. Può anche darsi che sia vero e che qualche impresa si induca a non concludere un contratto a termine perchè non ha causali da poter invocare. Ma se non ha motivo e necessità di ricorrere a questa forma contrattuale, ben può far ricorso al contratto a tempo indeterminato. non è la fine del mondo.

Il Decreto-legge n. 87_2018 è entrato in vigore il 13 luglio 2018. 

 

Il NUOVO CONTRATTO A TERMINE DEL DECRETO DIGNITA’

Il nuovo decreto legge sulla dignità dei lavoratori prevede che d'ora in poi il contratto di lavoro a tempo determinato, per la sua validità, debba avere una causa organizzativa che giustifichi l'apposizione del termine. I contratti di lavoro a tempo determinato, con la precedente disciplina che adesso è modificata dal nuovo decreto legge, non avevano la necessità di una causa che li giustificasse. Il datore di lavoro poteva scegliere in modo libero e discrezionale se assumere il suo collaboratore a tempo indeterminato oppure a tempo determinato. La nuova norma lascia all'impresa questa discrezionalità assoluta solo nel caso in cui si voglia concludere con il lavoratore un contratto a tempo determinato non superiore a 12 mesi. Nell’ambito di questi primi 12 mesi di grazia, l’impresa può stipulare, o prorogare con il suo collaboratore, più contratti di lavoro a tempo determinato. In questo spazio temporale della durata di un anno, l'impresa ha semplicemente l’obbligo di non superare le 4 proroghe; se dovesse prolungare o rinnovare il contratto che non supera i 12 mesi, l'impresa non ha la necessità, di dover indicare i motivi che hanno giustificato l’apposizione di quel termine al contratto di lavoro. Il primo anno di durata del contratto è liberamente rimesso alle scelte del datore di lavoro.

CHE COSA SUCCEDE DECORSI I PRIMI 12 MESI DEL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO.

Trascorsi 12 mesi di prestazione lavorativa a tempo determinato, se l’impresa dovesse desiderare di continuare ad utilizzare il lavoratore con un contratto precario a termine, può sempre farlo, ma a condizione che abbia delle esigenze oggettive che giustifichino questa sua scelta. L’impresa, pertanto, è legittimata a proseguire il rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato a condizione che abbia la necessità oggettiva di continuare ad utilizzare quel lavoratore per sostituire lavoratori che hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro (lavoratrici in maternità, in ferie, in permesso, etc.). Al di fuori delle necessità di natura sostitutoria, l’impresa può continuare ad utilizzare quel lavoratore a tempo determinato se abbia esigenze oggettive dovute ad incrementi temporanei ed improvvisi della sua attività. La locuzione utilizzata dalla nuova norma del decreto legge appare generica ed ampia. Essa può essere soggetta a diverse interpretazioni, a fisarmonica, creando incertezze non facilmente risolvibili nel lavoratore e nella stessa impresa. Una cosa comunque è assolutamente certa: dopo il decorso dei 12 mesi, la lettera di comunicazione del rinnovo o della proroga ulteriore del contratto a termine deve contenere l’indicazione specifica dei motivi aziendali che hanno indotto il datore di lavoro ad apporre quel termine di durata al contratto che prosegue oltre i 12 mesi.

LA DURATA MASSIMA DEL NUOVO CONTRATTO A TERMINE RIDOTTA DA 36 A 24 MESI.

Nella precedente disciplina, il contratto a termine poteva avere una durata massima di 36 mesi, con rinnovi o proroghe non superiori a 5. Con il Decreto Dignità, invece, la durata massima è stata ridotta a 24 mesi e le proroghe e i rinnovi complessivi, da 5, sono stati portati a 4. La riduzione temporale di 1/3 della durata massima del contratto a termine è la novità di maggior rilievo della nuova norma, perché comprime in modo significativo la flessibilità e la precarietà. Il tentativo del decreto dignità è evidente: si vuole favorire l’assunzione dei lavoratori a tempo indeterminato. La nuova norma può essere del tutto irrilevante per le maestranze di modesto valore professionale e facilmente sostituibile. L’impresa, in questo caso, ben può risolvere definitivamente il rapporto con quel lavoratore ed assumerne, fresco di zecca, un altro con il quale non ha avuto, in precedenza, altri rapporti. Le difficoltà dell'impresa sono maggiori, e di difficile soluzione, se il livello professionale di quel lavoratore ed il suo apporto sono divenuti facilmente non sostituibili. In questo caso l'impresa è più probabile che ricorra definitivamente al contratto a tempo indeterminato facendo cessare la precarietà.

LA FORMA SCRITTA DEL CONTRATTO A TERMINE: ESSENZIALITÀ.

Il contratto a termine, sia prima che dopo l'entrata in vigore del decreto dignità, per la sua validità, richiede sempre la forma scritta. La lettera di assunzione che riporta l’apposizione del termine deve essere personalmente sottoscritta per accettazione dal lavoratore. Le proroghe o i rinnovi del contratto a termine devono avere la stessa forma scritta e la sottoscrizione per accettazione del lavoratore interessato. Queste forme devono essere adottate prima o contestualmente all’inizio della prestazione lavorativa. Un’accettazione del termine in epoca successiva all’inizio dell’attività lavorativa è da ritenersi nulla. L’impresa, concluso il contratto di lavoro con il termine, ha l’obbligo di consegnare al lavoratore la copia del contratto già sottoscritto dalle parti entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. La mancanza della forma scritta, sia del contratto, del rinnovo o della proroga, comporta di diritto la conversione del rapporto di lavoro in un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

L’IMPUGNAZIONE DEL CONTRATTO A TERMINE NULLO, TERMINI ALLUNGATI.

Il licenziamento, normalmente, deve essere impugnato dal lavoratore entro 60 giorni dalla comunicazione da parte del datore di lavoro. Per l’impugnazione del contratto a tempo determinato, però, questo termine è stato ha innalzato a 120 giorni. Il Decreto Dignità ha ritenuto di doverlo ulteriormente elevare a 180 giorni. Il lavoratore assunto con un contratto a termine è molto condizionato a promuovere causa contro l’azienda perché confida sempre di poter continuare a prestare l’attività lavorativa per l’impresa. Per liberarlo da questa soggezione e da questa sindrome di Stoccolma, il decreto dignità gli ha concesso 180 giorni come termine utile per impugnare il contratto a termine con le eventuali proroghe. Quel lavoratore, però, nei successivi 180 giorni dalla data della sua impugnazione, deve promuovere la causa con il deposito del ricorso avanti il Tribunale. I termini da osservare sono doppi. La inosservanza di uno solo di essi comporta la definitiva decadenza di poter fare ricorso all'autorità giudiziaria.

A CHI SI APPLICA LA NUOVA NORMATIVA DEL DECRETO DIGNITÀ? AI VECCHI E NUOVI CONTRATTI A TERMINE.

Le nuove norme del Decreto Dignità si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato che si stipulano dopo l’entrata in vigore del Decreto Legge. Il Decreto Dignità prevede, però, opportunamente, che le nuove normative si applichino ai rinnovi e alle proroghe dei contratti che risultano essere già stati conclusi alla data dell’entrata in vigore del decreto legge. Se prima del Decreto Dignità è stato stipulato un contratto a termine di 3 anni senza indicazione della causale, quel contratto verrà normalmente a scadenza nel termine previsto dei 3 anni con l'assoluta irrilevanza della nuova normativa. Nel caso in cui, invece, vi siano contratti a termine che, dopo l’entrata in vigore del decreto dignità, dovessero venire a scadenza superando, i 24 mesi, questi contratti non potranno più essere prorogati o rinnovati.  Se il contratto a termine, dopo l’entrata in vigore del Decreto Dignità, è scaduto, ma non ha superato complessivamente la durata 24 mesi, esso può essere ancora prorogato o rinnovato fino alla scadenza di questi 24 mesi, ma con l’inserimento nella lettera di proroga della specifica indicazione della causale che induce l'impresa a dover adottare questa scelta. Se, dopo l’entrata in vigore, un contratto a termine unico, o con più rinnovi o proroghe, dovesse aver già superato la durata complessiva dei 24 mesi, esso non può più essere oggetto di ulteriori interventi sulla sua prosecuzione.

SULLE CONSEGUENZE DEL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO DICHIARATO NULLO: CONVERSIONE DEL CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO E RISARCIMENTO DEL DANNO.

Le sanzioni dell’ordinamento giuridico contro il contratto di lavoro a tempo determinato e nullo previste dal Decreto Dignità sono rimaste del tutto inalterate rispetto alla precedente disciplina. Se il contratto a tempo determinato dovesse essere nullo, il lavoratore ha diritto alla conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il riconoscimento a suo favore di un risarcimento del danno che va da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 12 mensilità della retribuzione utile per il calcolo del TFR. La sanzione prevista dall’ordinamento contro i datori di lavoro inadempienti è molto pesante. La misura del risarcimento è correlata direttamente alla durata del contratto a tempo determinato dichiarato nullo. Nella qualificazione, tra il minimo e il massimo, conta l’anzianità di servizio. 

AUMENTO DEI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI PER I CONTRATTI A TERMINE.

Il Governo, per scoraggiare il ricorso ai contratti a termine, anche quelli in somministrazione, con il decreto dignità, ha previsto un aumento della contribuzione previdenziale a carico delle imprese che rinnovano il contratto a tempo determinato. Per il primo anno di durata la contribuzione previdenziale non subisce variazioni. In occasione di ciascun rinnovo dopo il primo anno, è previsto, però, un aumento della contribuzione nella misura dello 0,5%. Non si tratta di un incremento contributivo elevato, ma sta a significare il disvalore con cui si considerano i rinnovi dei contratti a termine decorso il primo anno di durata.

SULLA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO.

Il Decreto Dignità afferma, per evitare equivoci giuridici, che il contratto di somministrazione a tempo determinato soggiace alla medesima disciplina del contratto a termine. Tra l’una e l’altra figura vi è perfetta coincidenza di disciplina. Al contratto di somministrazione, rispetto al contratto a termine, non si applicano le disposizioni di cui agli artt. 23 e 24 del Jobs Act. Per i lavoratori somministrati  non sono quindi più in vigore i limiti di percentuale sul numero dei contratti a termine che si possono stipulare rispetto ai contratti a tempo indeterminato, che era fissato nel 20%, con la conseguenza che le società, una volta raggiunto il numero massimo consentito di contratti a termine ordinarie, per avere in forza lavoratori per un certo tempo determinato, potranno ricorrere liberamente alla somministrazione di lavoro, senza essere costretti a dover procedere all’assunzione a tempo indeterminato di nuovi dipendenti. Parimenti, non si applicano le norme sul diritto di precedenza, che non riguarderanno più i lavoratori somministrati. Si tratta indubbiamente di 2 previsioni legislative a favore delle società di somministrazione di lavoro che potranno trarre benefici commerciali dalla nuova normativa del decreto dignità.

SULLE TUTELE CRESCENTI DEL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO.

Il Decreto Dignità, per i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015, ha lasciato del tutto inalterato il quadro normativo e le tutele del Jobs Act limitandosi ad aumentare, nel minimo e nel massimo, l’indennità risarcitoria. Questi lavoratori a tempo indeterminato continuano a non essere destinatari dell’art. 18 St. Lav. sulla reintegrazione nel posto di lavoro, anche con riferimento ai licenziamenti collettivi. L’unico beneficio previsto a loro favore dal nuovo decreto è l’aumento dell’indennità risarcitoria che, da un minimo di 4 mensilità, passa a 6 mensilità della retribuzione, e da un massimo di 24 mensilità passa a 36 mensilità, in ragione di 2 mensilità per ogni anno di servizio. I lavoratori che possono usufruire del massimo della tutela economica delle 36 mensilità sono in divenire, perché nessuno di essi, al momento, può vantare un’anzianità di 18 anni per maturare un simile trattamento. L’aumento nel minimo, però, è immediatamente efficace perché colpisce da subito i datori di lavoro che dovessero intimare licenziamenti illegittimi. Questo minimo è dovuto ai lavoratori con un’anzianità di servizio fino a 2 anni. Da 3 a 12 anni tutto resta come prima. Questa norma certamente favorisce i lavoratori utilizzati negli appalti e assunti dall’ultima impresa appaltatrice dopo il 7 marzo 2015, data di entrata in vigore delle tutele crescenti, perché, in questo particolare caso, il risarcimento dei danni loro spettante sarebbe commisurato all'anzianità maturata pari agli anni di sevizio nello stesso appalto, sia pur alle dipendenze di diversa o plurime imprese appaltatrici. I lavoratori che non sono utilizzati negli appalti maturano il massimo delle mensilità solo dal 2033 in poi. La norma, al momento, per assenza di attualità, è di scarso interesse.

 

Aggiornamento. Slitta nel tempo l’entrata in vigore del decreto dignità sul contratto a termine

il 7 agosto il Senato ha approvata definitivamente, con 155 voti favorevoli, 125 contrari e un astenuto, la legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale l’11 agosto (legge 9 agosto 2018, n. 96). La legge di conversione contiene alcune modifiche alle previsioni del decreto legge; la modificazione più rilevante è quella che prevede la data di entrata in vigore delle nuove norme. Queste nuove  norme è previsto che si debbano applicare  ai contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati per la prima volta o rinnovati o prorogati,  a decorrere dall’1 novembre 2018.
Questo succedersi di previsioni normative l’una contrastante con l’altra, appare schizofrenico e confusionario: il governo emana d’urgenza a luglio le nuove norme, adottando il decreto legge, per far sì che le nuove norme entrino in vigore con immediatezza; la maggioranza parlamentare, che ha dato la fiducia a quel Governo, approva il decreto ma  ha fatto slittare di ben 4 mesi l’entrata in vigore della nuova disciplina.
In questo modo, fino al 31 ottobre 2018,  tutto continua come prima. Le imprese possono proseguire a stipulare i contratti a tempo determinato, a rinnovarli e a prorogarli,   senza dover tener conto di quelle nuove norme. Si tratta di una riforma annunciata con molto anticipo ma …  a scoppio ritardato

 

 

 

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