24/11/2017
La Corte di Appello di Milano ha affermato la piena capacità ad essere sentito come testimone di un lavoratore chiamato a deporre sui medesimi fatti che hanno comportato il suo licenziamento disciplinare. Per la Corte non si può testimoniare solo se esiste un interesse che legittimi l’intervento del testimone nella causa dove dovrebbe rendere le sue dichiarazioni. Quel lavoratore non aveva alcun interesse qualificato nella controversia giudiziaria del suo collega contro il comune datore di lavoro. Riportiamo la parte della sentenza della Corte di appello di Milano che ha statuito sul punto.
“In ogni caso la consolidata giurisprudenza di legittimità esclude l’incapacità di testimoniare del lavoratore che abbia promosso o possa promuovere azioni autonome ed analoghe contro lo stesso datore di lavoro (C 07/4500, 87/387; nel medesimo senso, v. Corte Cost. 80/64, F. it. 80, I, 1246, la quale, nel dichiarare infondata la questione di costituzionalità dell’art. 421, ult. c. c.p.c., afferma che la riunione di controversie connesse, in materia di lavoro, disposta solo per l’identità delle questioni da decidere, non priva le persone che siano parti in alcune di esse della capacità di testimoniare nelle altre cause; conf. C 06/10198, cit., 06/11034, 06/9888, cit., 99/2618, 98/11753, e C 93/7800, Giust. civ. 93, I, 2930, per il lavoratore sentito come teste che sia stato parte in una causa connessa, instaurata contro il comune datore di lavoro e poi conciliata; conf. C 07/20731 con riferimento al collega di lavoro del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare per un fatto addebitato ad entrambi in concorso, sul rilievo che non è soggetto abilitato ad intervenire in causa).” Sentenza corte di appello di Milano n. 885/2016 pubbl. il 22/06/2016 Giudice relatore Dott. Trogni
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo