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Se sono possibili mansioni equivalenti o inferiori, il licenziamento è illegittimo

Lo dice il giudice Saioni del Tribunale di Milano

La lavoratrice, assunta alle dipendenze di una società che gestisce un  hotel, è stata adibita a svolgere mansioni di cameriera ai piani, occupandosi delle pulizie e del riassetto delle camere e delle parti comuni, del rifornimento delle scorte del bar ed in parte della pulizia dei bagni e del cambio della biancheria. Nel tempo si è occupata anche della preparazione della colazione ai clienti, dell'allestimento delle scorte del minibar e del servizio bar caffetteria.

Il medico aziendale ha dichiarato la lavoratrice totalmente inidonea allo svolgimento delle mansioni assegnate e svolte. Il datore di lavoro ha così licenziato la lavoratrice per impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa. Contro l'accertamento del medico aziendale, la lavoratrice ha fatto ricorso all'Agenzia di tutela della salute della Città Metropolitana di Milano-Dipartimento di prevenzione Medica/u.o.s Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro; il collegio medico di questa Agenzia, riformando la decisione del medico aziendale, ha dichiarato, invece, la lavoratrice idonea allo svolgimento delle mansioni sia pure con delle prescrizioni limitative a tutela della sua salute.

Il Tribunale di Milano decidendo la controversia avente ad oggetto l'impugnazione del licenziamento, ha dichiarato  l'illegittimità del licenziamento ordinando la riassunzione o la corresponsione dell'indennità risarcitoria, con la seguente motivazione: "Per la sussistenza dei presupposti di legittimità di un licenziamento comminato in ipotesi di sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione, per problemi di salute del lavoratore, occorre innanzitutto valutare l’idoneità del lavoratore a svolgere una mansione differente, benché professionalmente equivalente a quella svolta in precedenza. Per tale motivo, accertate, da un lato, le residue capacità lavorative del dipendente e, dall'altro, la complessiva organizzazione aziendale, occorre analizzare, all'esito di un bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti, la reale possibilità per il datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni diverse ed equivalenti. Laddove ciò non sia possibile, sarà quindi necessario valutare la possibilità di impiego del dipendente in mansioni dequalificanti, stante la preponderanza dell'interesse alla conservazione del posto di lavoro rispetto al divieto di dequalificazione. Il licenziamento può dunque essere comminato solo all'esito di tali puntuali valutazioni, quale extrema ratio. “  ( tribunale di Milano Sentenza n. 2449/2017 pubbl. il 25/10/2017, dott.ssa Francesca Saioni).

Il tribunale di Milano ha deciso la causa richiamandosi a numerose sentenze della Cassazione che sono nel solco interpretativo affermato in questa sentenza.

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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di caritàPer questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo