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Il patto di prova è nullo se il contratto collettivo ne impedisce la stipulazione in occasione di nuova assunzione dopo la cessazione di un precedente appalto

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12/09/2017

Il contratto collettivo prevale sulla diversa volontà delle parti

La Corte d'appello di Torino, in riforma della decisione emessa dal Tribunale, dichiarava illegittimo il patto di prova contenuto nel contratto di lavoro concluso tra una lavoratrice e una società di ristorazione e di conseguenza annullava il licenziamento intimato dalla prima alla seconda per mancato superamento, con condanna alla reintegrazione ed all'indennizzo ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18.

 La Corte di appello osservava che la lavoratrice,   con qualifica di operaia addetta alla mensa-sesto livello super, era stata licenziata per cessazione dell'appalto dalla società che aveva avuto in appalto la gestione dei servizi. La  società, subentrata nell'appalto e obbligata per contratto a riassumere i lavoratori, l'aveva riassunta, con inquadramento nel quinto livello e con patto di prova.

La Corte riteneva nullo questo patto poiché, malgrado il diverso formale inquadramento nel livello superiore, le mansioni effettivamente svolte dalla lavoratrice erano le medesime già svolte per la precedente impresa appaltatrice, ossia quelle di operaia presso il servizio ristorazione, comprendenti quelle di aiuto-cuoca, come risultava dalle numerose testimonianze acquisite. E poiché il contratto collettivo nazionale di categoria permetteva di inserire il patto di prova nel contratto, concluso dall'impresa cessionaria dell'appalto, solo in caso di riassunzione per mansioni nuove, il patto doveva considerarsi invalido.

L'insussistenza del fatto posto a base del licenziamento giustificava l'ordine di reintegrazione ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, come modif. dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 42, nonchè l'indennità risarcitoria.

 La corte di cassazione ha confermato la sentenza affermando che  “Nel lavoro subordinato il patto di prova tutela entrambe le parti del rapporto, che hanno interesse a verificare la convenienza del rapporto stesso, dovendo ritenersi l'invalidità del patto ove la verifica sia già avvenuta con esito positivo per le mansioni svolte dal lavoratore, per un congruo periodo, a favore dello stesso datore di lavoro (Cass. 22 giugno 2012 n. 10440, 29 luglio 2005 n. 15960, 5 maggio 2004 n. 8579), o anche a favore di datore di lavoro- appaltatore, precedente titolare dello stesso contratto d'appalto, se così stabilisca il contratto collettivo. Nè rileva che, nel contratto individuale di lavoro stipulato col datore subentrato nell'appalto le stesse mansioni vengano diversamente denominate.

Nel caso di specie il contratto collettivo di settore poneva l'obbligo, gravante sull'impresa subentrante, di assumere il personale dell'impresa cessata nelle stesse mansioni e senza patto di prova.”

Cassazione civile, sez. lav., 01/09/2015, (ud. 10/06/2015, dep.01/09/2015),  n. 17371

Il patto di prova, contenuti e forma

In occasione della stipulazione di un contratto di lavoro subordinato, le parti possono ben convenire che l’assunzione avvenga con il patto di prova. Inserire in un contratto di lavoro questo patto significa che il datore di lavoro e il lavoratore prima della scadenza del termine finale della prova, possono decidere di sciogliersi liberamente dal contratto. Lo scioglimento può avvenire dall’oggi al domani, senza alcuna conseguenza negativa per il soggetto che assume l’iniziativa di farlo. Chi si scioglie dal rapporto di lavoro non deve dare alcun preavviso e non deve pagare alcuna indennità sostitutiva. Il datore di lavoro non deve dare la prova della sussistenza di un  giustificato motivo o di una giusta causa per poter intimare il licenziamento.

Il patto di prova, però, per essere valido e produrre gli effetti che abbiamo indicato, richiede dei requisiti di forma e di sostanza che possiamo così sintetizzare. Innanzitutto, il patto di prova deve essere concluso in forma scritta. Questa forma è un elemento essenziale. Se le parti dovessero stipulare il patto in forma verbale quel patto sarebbe semplicemente nullo. Non vale niente, come se non fosse mai stato concluso e voluto dalle parti. La nullità del patto di prova significa che il rapporto di lavoro è diventato definitivo e per essere risolto per iniziativa dell’azienda occorrono i rigorosi requisiti previsti dalla legge sulla giustificazione del licenziamento.

Un ulteriore requisito essenziale per la validità del patto di prova è costituito dalla indicazione delle mansioni che dovranno essere oggetto della prova. Le mansioni devono essere ben individuate e specificate nella lettera di assunzione. Le mansioni possono essere individuate anche con il semplice richiamo al contratto collettivo e all’inquadramento. Ma il contratto collettivo così richiamato  deve fornire una conoscenza certa delle specifiche mansioni che dovranno essere oggetto della prova e che il lavoratore è chiamato a svolgere. Se il contratto collettivo in quel livello dovesse prevedere diversi profili professionali, la validità del patto di prova è seriamente compromessa.

Nei mesi o nei giorni della prestazione lavorativa, il lavoratore deve essere effettivamente adibito alle mansioni indicate nella lettera di assunzione. Lealtà esige che le mansioni svolte per provarsi reciprocamente debbano essere quelle volute e indicate nell’atto sottoscritto dalle parti.

La durata della prova varia da contratto collettivo a contratto collettivo e con riferimento al livello di inquadramento attribuito al lavoratore. Più alto è il livello più lungo può essere il patto di prova. La prova di un quadro ha necessità di un periodo di reciproca osservazione più lungo rispetto ad un operaio chiamato a svolgere mansioni semplici e ripetitive. La durata massima non può superare i sei mesi. La durata della prova può essere inferiore rispetto a quella indicata dal contratto collettivo ma non può superare la durata massima prevista dal contratto collettivo.

Il patto di prova può essere inserito anche in un contratto a tempo determinato oppure in un contratto a part time o anche in un contratto a part time e a tempo determinato. La durata della prova in un contratto a tempo determinato può essere più contenuto temporalmente rispetto a un contratto a tempo indeterminato. Per conoscere l’effettiva disciplina bisogna sempre far riferimento al contratto collettivo che si applica al rapporto di lavoro e attenersi scrupolosamente alle sue indicazioni.

Concluso il contratto le parti hanno l’obbligo di esperire la prova per un congruo termine di reciproca osservazione. Lo esige la buona fede nell’esecuzione del contratto.

Un patto di prova ben fatto non fa sorgere problemi nel caso in cui l’azienda prima della scadenza del termine decida di risolvere il rapporto di lavoro. Nel caso in cui il patto dovesse essere nullo e l’impresa dovesse occupare più di 15 addetti, al lavoratore illegittimamente licenziato spetta un risarcimento del danno che va da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità. Se l’impresa è di dimensioni più contenute il risarcimento va da due a sei mensilità della retribuzione. In tutti i casi la retribuzione mensile si calcola facendo riferimento alla retribuzione utile per il calcolo del tfr. Nella realtà sono frequenti i casi di nullità del patto di prova per assenza dei requisiti che abbiamo indicato. I principi sono chiari ma la loro esistenza non sempre è ben conosciuta da chi nell’azienda gestisce le assunzioni e conclude i contratti di lavoro.