15/02/2017
L'azienda ha contestato ad un suo dipendente il possesso e la abusiva acquisizione di appunti manoscritti concernenti informazioni confidenziali relative al prodotto denominato copolymer, informazioni che si riferivano alle materie prime, al loro costo, alla identità dei fornitori e dei clienti, alle modalità di produzione e di trasporto. Il tribunale e La corte di appello hanno ritenuto provata, sulla base delle deposizioni rese dai testi, la natura riservata dei documenti, che la società non aveva mai posto a disposizione del ricorrente, in quanto attinenti ad ambiti produttivi e commerciali che esulavano dal ruolo di responsabile della manutenzione; ritenendo la natura riservata dei documenti, hanno dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare comunicato al lavoratore.
Contro la decisione il lavoratore ha fatto ricorso in cassazione ma la sentenza sulla legittimità del licenziamento è stata confermata; la corte di cassazione ha affermato che " l’impossessamento di documenti aziendali di natura riservata implica violazione del dovere di fedeltà anche nella ipotesi in cui la divulgazione non avvenga, perché impedita dall’immediato intervento del datore di lavoro." Sulla idoneità del comportamento del lavoratore a minare la fiducia che il datore di lavoro deve necessariamente riporre nella correttezza e nella diligenza del lavoratore, " va detto che, sebbene l’art. 2105 c.c. richiami espressamente, oltre al divieto di concorrenza, solo il "divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa" o il "farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio", la non ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie delineate dal legislatore non è sufficiente a fare escludere la violazione dell’obbligo di fedeltà, atteso che il contenuto di detto obbligo è più ampio rispetto a quello risultante dal testo del richiamato art. 2105 c.c., integrandosi detta norma con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono al lavoratore di improntare la sua condotta al rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede (Cass. 9.1.2015 n. 144)."
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 3739/17; depositata il 13 febbraio.
AI CLIENTI DELLO STUDIO
Per una migliore organizzazione, in termini di efficienza e di assoluta tempestività, per le consultazioni con lo studio, che abbiano carattere di urgenza, vi suggeriamo di usare la videoconferenza. Realizzare un sistema di videoconferenza è estremamente semplice, e a costo zero. Un computer, che abbia un video con le casse incorporate, e il collegamento via internet con banda larga é tutto quello che occorre. Il sistema consente di avere confronti e colloqui in via immediata, con risparmio di tempo e di costi da parte di tutti. Uno strumento eccezionale per il lavoro e per il collegamento tra i vostri uffici e lo studio.
La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo