21/01/2014
La corte di cassazione conferma la sua interpretazione restrittiva per il lavoratore della normativa sui licenziamenti collettivi. Secondo questa giurisprudenza della corte di cassazione , “la legge n. 223 del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità/licenziamento collettivo, ha introdotto un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell'iniziativa imprenditoriale, concernente il ridimensionamento dell'impresa, devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione. I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano quindi più gli specifici motivi della riduzione di personale (a differenza di quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo), ma la correttezza procedurale della operazione” (cfr., per tutte, Cass. 23 maggio 2008 n. 13381, 14 giugno 2007 n. 13876, 16 marzo 2007 n. 6225, 14 novembre 2006 n. 24279 e 6 ottobre 2006 n. 21541).
Se il datore di lavoro, pertanto, non compie errori nella procedura del licenziamento, il licenziamento collettivo da parte degli interessati lavoratori diventa inattaccabile.
L'affermazione di questo principio è contenuto nella pronuncia della Cassazione civile n. 22824/09, depositata il 28 ottobre 2009.
Milano 30 dicembre 2009