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Non è giornalista chi lavora nelle riviste tecniche, professionali o scientifiche.


La Corte di Cassazione ha costantemente affermato che per "attività giornalistica deve intendersi quella prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento ed alla elaborazione di notizie, destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione. Il giornalista viene in tal modo a porsi come “mediatore intellettuale” fra il fatto e la diffusione della conoscenza dello stesso, nel senso cioè che sua funzione è quella di acquisire esso stesso la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in funzione della cerchia dei destinatari dell’informazione e confezionare, quindi, il messaggio con apporto soggettivo ed inventivo (Cass. n. 2166/1992, Cass. n. 4547/1990, Cass. n. 3291/1990, Cass. n. 6574/1981).
Per la Corte di Cassazione l'attuale normativa giuridica consente che la realizzazione di periodici o riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico possa avvenire senza l'ausilio di personale giornalistico e quindi senza che al personale dipendente debba applicarsi il contratto collettivo giornalistico. 
In questo contesto la questione vera è quella di individuare i criteri utili per l'identificazione degli elementi che determinano il carattere "tecnico, professionale o scientifico" del periodico dove è prestata l'attività lavorativa.
La natura tecnica della rivista è stata individuata dalla corte di appello di Milano, che la Cassazione ha ritenuto immune da vizi logici e giuridici , nei seguenti elementi:
- monotematicità degli argomenti, 
- modo approfondito e specialistico della trattazione degli argomenti,
- semplicità del linguaggio,
- presenza di una limitata categoria di utenti interessata agli argomenti trattati, 
- assenza di diffusione in edicola,
- diffusione in regime di abbonamento.

Par l'approfondimento dell'interessante argomento si veda: Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 18 settembre - 1 dicembre 2008, n. 28519. 
Milano 06 gennaio 2009.