17/01/2014
Un dipendente di una azienda municipale, con mansioni di conducente di linea, inquadrato nel 6° livello ccnl di categoria, a seguito di accertamenti sanitari e conseguente giudizio di inidoneità alle predette mansioni, era stato adibito dall’azienda alle inferiori mansioni di addetto alle pulizie.
Il dipendente contestava il provvedimento aziendale e chiedeva al Giudice del lavoro di dichiarare il proprio diritto all'originario inquadramento, anche con assegnazione a mansioni diverse o comunque di maggiore professionalità di quelle alle quali era stato adibito, con conseguente condanna dell'azienda al risarcimento danni.
Il tribunale ha rigettato la domanda del dipendente. La corte d’appello, chiamata a pronunciarsi, rigettava anch’essa la domanda riconoscendo “il diritto del datore di lavoro di variare in peius, unilateralmente, le mansioni in caso di sopravvenuta inidoneità - come nella specie - alle mansioni di un proprio dipendente”.
La corte di cassazione chiamata a pronunciarsi su ricorso del lavoratore che ha affermato il seguente principio: “ Invero, come questa Corte ha chiarito in analoghe occasioni (v., in particolare, Cass. 15 maggio 2006 n. 11106), in tema di accertamento della legittimità di una dequalificazione del lavoratore, pacificamente intesa ad evitare la risoluzione del rapporto di lavoro per impossibilità sopravvenuta della prestazione prevista nel titolo costitutivo, ossia per inidoneità fisica, deve tenersi conto che di tale accertamento è parte integrante non solo la reale sussistenza di detta inidoneità ma anche l'idoneità ad altre mansioni, compatibilmente con l'assetto aziendale, poiché - vertendosi nella materia lavoristica e non in quella dell'assistenza sociale - gli interessi del lavoratore vanno bilanciati con quello al libero esercizio dell'iniziativa economica dell'imprenditore (art. 41 Cost., comma 1) oppure col principio di buon andamento, se trattisi di pubblica amministrazione (art. 97 Cost., comma 1) (Cass. Sez. un. 7 agosto 1998, n. 7755).”
Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 1 luglio - 9 settembre 2008, n. 23109.
Milano 05/10/2008
Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi
Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).
La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.
L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003).
Termini di decadenza per l'impugnazione del licenziamento
Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch' essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volonta' del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L'impugnazione e' inefficace se non e' seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo. Legge 604/1966
Tentativo preventivo di conciliazione
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora disposto da un datore di lavoro che occupi più di 15 addetti, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore. Nella comunicazione il datore di lavoro deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonche' le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l'incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione. La comunicazione contenente l'invito si considera validamente effettuata quando e' recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero e' consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro. La procedura si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l'incontro. La mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione e' valutata dal giudice nel successivo ed eventuale contenzioso giudiziario. Legge 604/1966 art. 7.
Durante la prova si può licenziare anche verbalmente
Il licenziamento deve essere comunicato per iscritto e devono essere indicati i motivi. I lavoratori assunti in prova possono essere licenziati anche oralmente. Ma è consigliabile usare anche per essi la forma scritta con la motivazione del mancato superamento della prova. Legge 604/1966