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Contratto di agenzia e indennità di fine rapporto.

È di particolare interesse esaminare la nuova normativa in materia di indennità di fine rapporto a favore dell'agente di commercio nel contratto di agenzia.
STORIA NORMATIVA.
L'indennità di fine rapporto del contratto di agenzia è disciplinata dall'articolo 1751 del codice civile. Questo articolo prima della riforma del c.c. era così formulato: "all'atto dello scioglimento del contratto a tempo indeterminato, il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità proporzionale all'ammontare delle provvigioni liquidategli nel corso del contratto e nella misura stabilita dagli accordi economici collettivi, dai contratti collettivi, dagli usi o, in mancanza, dal giudice secondo equità. 
In esecuzione di questa norma del codice civile i vari accordi economici collettivi dei vari settori (come ad esempio quello del commercio e dell'industria), hanno previsto a favore dell’'agente il diritto di vedersi corrispondere l'indennità attraverso un calcolo rigido che dava certezza sulla quantificazione dell'indennità.
Questa indennità si articolava in tre voci:
indennità di risoluzione del rapporto, indennità suppletiva di clientela e indennità meritocratica. Le prime due indennità erano dovute in ogni caso di cessazione del rapporto, prescindendo del tutto dai risultati concreti conseguiti dall'agente, mentre l'ultima indennità (quella meritocratica) era dovuta solo nel caso in cui vi fosse stato da parte dell'agente "l'aumento del fatturato con la clientela esistente e/o l'acquisizione di nuovi clienti." Per quanto concerne la quantificazione dell'indennità dovuta, il criterio fissato dai contratti collettivi era un criterio certo, facendo riferimento al fatturato procurato dall'agente nel corso degli anni.
Con la sua modificazione ( prima con il d.lgs 10 settembre 1991 n. 303 e poi con il d.lgs 15 febbraio 1999 n.65), l'articolo 1751 del codice civile nella sua attuale formulazione prevede che:
“all'atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all'agente un'indennità se ricorrono le seguenti condizioni:
l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti. "
La modificazione di questo articolo si è imposta in esecuzione della direttiva comunitaria n. 86/653/CEE del 18 dicembre 1986 - Direttiva del Consiglio relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti (Pubblicata nella G.U.C.E. 31 dicembre 1986, n. 382, entrata in vigore il 23 dicembre 1986).
Questa direttiva all'articolo 17 prevedeva che "2. a) L'agente commerciale ha diritto ad un'indennità se e nella misura in cui: - abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
- il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente commerciale perde e che risultano dagli affari con tali clienti."
La direttiva continua prevedendo che "b) L'importo dell'indennità non può superare una cifra equivalente ad un'indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall'agente commerciale negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione."

CONSEGUENZE DELLA MODIFICA LEGISLATIVA DELLA NORMA DEL CODICE CIVILE.
La nuova disciplina prevista dal codice civile è profondamente diversa dalla precedente. Le diversità possono essere così sintetizzate.
1. Il vecchio testo normativo del codice civile prevedeva l'obbligo assoluto a favore dell'agente della corresponsione dell'indennità di fine rapporto ( “il preponente è tenuto a corrispondere..".) mentre il nuovo testo condiziona la corresponsione dell'indennità solo se ricorrono alcune condizioni: esistenza di nuovi clienti procurati dall 'agente, sviluppo degli affari con i clienti esistenti e sussistenza dei sostanziali vantaggi a favore del proponente e anche dopo la cessazione del contratto di agenzia, in conseguenza degli affari procurati dall'agente. Un diritto dell'agente che prima era certo, diventa così condizionato. La normativa è certamente peggiorativa per l'agente.
2. É onere dell'agente provare, cessato il rapporto di lavoro, il suo diritto all'indennità dando prova di tutte le condizioni in fatto previste dalla nuova normativa del codice civile. Si tratta di un onere certamente non facile da assolvere.
3. Il vecchio testo del codice civile, per la quantificazione dell'indennità, richiamava “la misura stabilita dagli accordi economici collettivi". Nel nuovo testo manca totalmente il riferimento alla contrattazione collettiva. Questa mancanza è certamente piena di significato giuridico. L'omissione del richiamo agli accordi economici collettivi comporta che il criterio fissato per la quantificazione dell'indennità, così come previsto dalla contrattazione collettiva, può valere solo nel caso in cui le parti lo hanno richiamato esplicitamente nella loro pattuizione individuale e non contrasti ex ante con la previsione del codice civile e della direttiva comunitaria.

4. La nuova norma prevede che" l'importo dell'indennità non può superare una cifra equivalente ad un'indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall'agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione." Il testo precedente dell'articolo del codice civile, invece, non prevedeva alcun limite massimo a sfavore dell'agente. La normativa introdotta dalla direttiva comunitaria, sotto questo aspetto, è fortemente peggiorativa del trattamento dovuto all'agente. Stabilire un tetto massimo invalicabile dell' indennità dovuta certamente, in linea generale e astratta, favorisce il preponente e non il lavoratore.
5. Con il vecchio testo del codice civile l'indennità era facilmente e immediatamente quantificabile: era sufficiente conoscere le provvigioni maturate nel coso degli anni e si otteneva con immediatezza il calcolo dell'indennità di fine rapporto spettante all'agente. Con il nuovo sistema la quantificazione diventa aleatoria, con incertezza dei relativi rapporti di dare/¬avere. L'agente dovrà fornire tutti gli elementi utili per la maggiore quantificazione della indennità mentre il proponente dovrà fornire al giudice tutti gli elementi utili che concorrono a diminuire l'ammontare di detta indennità. Con assoluta incertezza sul criterio equitativo che alla fine il giudice accoglierà nella quantificazione della indennità. La norma, di fronte al criterio fumoso della equità, certamente farà aumentare il contenzioso giudiziario.
6. L'agente, se vuole ben agire per il riconoscimento a suo favore della indennità di fine rapporto, dovrà fornire al giudice l'elenco di tutti i clienti nuovi da lui procurati nel corso del mandato, l'elenco dei clienti vecchi che grazie al suo intervento hanno aumentato il fatturato, l'elenco dei clienti che sono da ritenersi definitivamente acquisiti al preponente e che rimarranno nel suo portafoglio commerciale anche dopo la cessazione del rapporto di agenzia. Il preponente se vorrà ridurre l'indennità dovuta o contestarla nella sua esistenza giuridica, dovrà fornire gli elementi in fatto da cui si possa desumere che dopo la cessazione del rapporto nessun vantaggio ha ricevuto o riceverà dalla precedente collaborazione dell'agente o che la commerciabilità dei suoi prodotti è dovuta ad elementi estranei alla collaborazione dell'ex agente stesso (quali ad esempio la notorietà del marchio, la presenza di una massiccia campagna pubblicitaria, l'introduzione di nuovi prodotti sul mercato, una diversa e più efficiente organizzazione commerciale, etc) .
7. Il nuovo testo, consapevole del sacrificio economico e giuridico imposto all'agente, ha voluto comunque limitare i danni contro la sua persona prevedendo che le disposizioni dell'art. 1751 cod. civ. "sono inderogabili a svantaggio dell'agente." In questo modo si è introdotta una norma che sancisce la nullità di qualsiasi pattuizione derogativa alla norma del codice civile che peggiori il trattamento della indennità di fine rapporto così come delineato dalla stessa norma codicistica.
8. La normativa collettiva che disciplinava e quantificava l'indennità di fine rapporto, con l'emanazione della direttiva comunitaria e la nuova formulazione dell'art. 1751 del codice civile deve ritenersi definitivamente nulla. Le due norme, quella comunitaria e quella statale, non consentono più l 'applicabilità del criterio fissato dagli accordi economici collettivi. La norma giuridica del codice civile e della direttiva europea è inderogabile e sottratta alla disponibilità delle parti.

GIURISPRUDENZA 
Dottrina e giurisprudenza nel corso di questi ultimi anni hanno espresso orientamenti e opinioni diversi sul significato del nuovo quadro normativo.
Per il suo interesse in questo dibattito si inserisce l'ultima sentenza della Corte di Cassazione che si riporta di seguito parte in diritto.
"Secondo un primo indirizzo (cfr. Cass. 29 luglio 2002 n. 11189) la disciplina legale posta dall'art. 1751 Cod. Civ., in quanto fa riferimento al criterio dell' equità non solo per determinare quando l'indennità deve essere erogata, ma anche per la determina¬zione dell' indennità stessa, deve ritenersi prevalente sulla contrattazione collettiva tutte le volte che l'applicazione del criterio stabilito dalla legge conduca ad un trattamento in concreto più favorevole all'agente, restando irrilevante una valutazione ex aule della maggiore convenienza della regolamentazione pattizia rispetto a quella legale. Altro indirizzo. che può considerarsi maggioritario (Cass. n.11402 del 2000; Cass. n. 15726 del 2003; Cass. n. 2383 del 2004; Cass. n. 6162 del 2004), afferma che, essendo consentita dalla legge la deroga non pregiudizievole per l'agente, la valutazione circa il carattere di maggior favore, o non, del trattamento di fine rapporto previsto dagli accordi collettivi deve essere effettuata, non in concreto e sulla base della misura dell' indennità ritenuta liquidabile dal giudice, ma ex ante sulla base del confronto tra la regolamentazione legale e quella contrattuale; e ciò anche in considerazione del fatto che concettualmente la nozione di derogabilità presuppone un raffronto tra norme e non di risultati della loro applicazione.
Con ordinanza 18 ottobre 2004 n. 20410. Questa Corte ha ritenuto necessario investire la Corte di Giustizia delle Comunità Europee della questione pregiudiziale relativa all 'interpretazione degli artt. 17 e 19 della Direttiva 86/653 del Consiglio del 18 di¬cembre 1986; apparendo necessario chiarire, in particolare, se, con riguardo alle finalità dell' art. 17, il successivo art. 19 della medesima direttiva sia interpretabile nel senso che la normativa nazionale possa consentire che un accordo economico collettivo preveda, invece che un' indennità dovuta all'agente nel concorso delle condizioni previste dal paragrafo n. 2 dell' art. 17 e liquidabile secondo i criteri desumibili dal medesimo, una indennità che sia determinata senza alcun riferimento specifico all'incremento degli affari procurati dall' agente, sulla base di determinate percentuali dei compensi ricevuti nel corso del rapporto, sicché la stessa indennità, anche in presenza della misura massima dei presupposti cui la direttiva collega il diritto all’ indennità, in molti casi sia liquidata in misura inferiore a quella massima prevista dalla direttiva. Con sentenza 23 marzo 2006 in causa C-465-04, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha deciso sulla domanda pregiudiziale statuendo che l'art. 19 della direttiva 86/653/CEE deve essere interpretato nel senso che l'indennità di cessazione del rapporto, che risulta dall'applicazione dell'art. 17 n. 2 di tale direttiva, non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un'indennità determinata secondo criteri diversi da quest'ultima disposizione, a meno che non sia provato che l'applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all'agente commerciale un’ indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall' applicazione di detta disposizione; - all'interno dell'ambito fissato dall'art. 17 n. 2 dell'anzidetta direttiva, gli Stati membri godono di un potere discrezionale che sono liberi di esercitare, in particolare, con riferimento, al criterio dell' equità.
La decisione contiene in particolare le seguenti proposizioni.
L'art. 19 della direttiva prevede la possibilità per le parti di derogare alle disposizioni dell'art. 17 prima della scadenza del contratto, a condizione che la deroga prevista non sia sfavorevole all'agente commerciale. E' quindi giocoforza constatare che la natura sfavorevole di detta deroga deve essere valutata al momento in cui le parti la prevedano. Queste ultime non possono convenire una deroga di cui esse ignorano se si rivelerà, alla cessazione del contratto, a favore ovvero a scapito dell' agente commerciale.
L'art. 19 va, pertanto, interpretato nel senso che una deroga alle disposizioni dell'art. 17 può essere ammessa solo se, ex ante, è escluso che essa risulterà, alla cessazione del contratto, a detrimento dell'agente commerciale. Ciò si verificherebbe, per quanto riguarda l'accordo economico collettivo del 1992, nell'ipotesi in cui potesse essere dimostrato che l'applicazione di tale accordo non è mai sfavorevole all'agente commerciale, in quanto esso garantirebbe sistematicamente, alla luce di tutti i rapporti giuridici che possono essere instaurati tra le parti di un contratto di agenzia commerciale, un' indennità superiore a quella che risulterebbe dall' applicazione dell'art. 17 della direttiva.
Il solo fatto che detto accordo possa essere favorevole all'agente commerciale nel caso in cui quest'ultimo abbia diritto, in applicazione dei criteri di cui all'art. 17 n. 2 della direttiva, solo ad un' indennità molto ridotta, non può bastare a dimostrare che esso non deroga alle disposizioni degli artt. 17 e 18 della direttiva a detrimento dell' agente commerciale. L'interpretazione della Corte Europea comporta che l'indennità contemplata dall' accordo economico collettivo del 1992 deve rappresentare per l'agente un trattamento minimo garantito, che può essere considerato di maggior favore soltanto nel caso che, in concreto, non spetti all' agente l'indennità in misura superiore.
Le norme del trattato istitutivo dell'Unione Europea obbligano i giudici nazionali ad interpretare la norma interna, dove risulti suscettibile di più opzioni interpretative, in modo che risulti conforme al diritto comunitario, operando del resto l'obbligo di interpretare l'art. 1751 in modo conforme alla costituzione.
L'esposto contrasto giurisprudenziale risulta di recente (in particolare Cass. sentenza n. 9358 del 23 aprile 1997; Cass. n.21109 del 3 ottobre 2006) superato - in considerazione anche di quanto deciso dalla Corte di Giustizia- con l'abbandono dell'indirizzo maggioritario e l'affermazione del seguente principio di diritto: "L'art. 1751, comma sesto, Cod. Civ. si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all' agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell' agente comporta che l'importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive" .
Questo Collegio ritiene di aderire a tale indirizzo, il quale richiama la necessità che la valutazione del carattere di maggior favore, o non, del trattamento di fine rapporto -previsto dagli accordi collettivi- rispetto alla disciplina legale, sia effettuata in concreto ed ex post , ma non ex ante ( Sentenza Corte di Cassazione n. 687/2008, depositata in cancelleria il 16 gennaio 2008).
Tutta la materia, comunque, è in corso di elaborazione da parte sia della dottrina che della giurisprudenza che, ad oggi, non hanno trovato un definitivo e convincente assestamento interpretativo nel contemperamento degli opposti e legittimi interessi.

Milano 24/04/2008

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