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All'esito della prova negativa il licenziamento orale è valido

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07/01/2014

In questo caso la forma della comunicazione del licenziamento è liberamente rimessa al datore di lavoro

La Corte di Appello di Milano ha dichiarato la legittimità di un licenziamento intimato in forma orale durante l’esperimento della prova.. La motivazione è così articolata.
“Il licenziamento del lavoratore durante il periodo di prova non deve essere intimato necessariamente per "iscritto" dato che, per espresso disposto della legge n. 604/1966 (art. 10) la disciplina normativa sui licenziamenti individuali non trova applicazione nei riguardi dei lavoratori assunti in prova, quando non siano ancora decorsi (comunque) sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro.
D'altra parte il "recesso" del datore di lavoro - durante il periodo di prova - non è, a stretto rigore, un vero e proprio licenziamento, dato che, come è noto, il datore di lavoro si limita, con il "recesso" a porre fine ad un rapporto solo in "formazione". Per guisa che, per il principio della libertà delle forme, non è richiesta "ad substantiam" una manifestazione scritta al riguardo (giur. costante: v. già Cass. n. 7536 del 12/10/1987; conf. Cass. n. 5634 del. 20/05/1991; Ca.ss. n. 1560 del 18/0211994).
La questione è passata indenne al vaglio della Cortc Costituzionale che con sentenza n. 541 del 2000 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art, 10 della legge n. 604 del 1966 e dell'art. 2096 cod. civ. impugnati. in riferimento agli art. 2, 3, 24, 35 e 38 della Costituzione, in quanto prevedono che le garanzie di cui alla legge n. 604 dcl 1966 per il caso di licenziamento si applichino ai lavoratori in prova soltanto dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro e perciò escludono (secondo costante giurisprudenza) che durante il periodo di prova il licenziamento del lavoratore debba avvenire con la forma scritta (v. già sent. n. 204/1976, 189/1980 e 172/1996 sulla diversità strutturale del rapporto di lavoro in prova rispetto al rapporto definitivo).”

(Corte Appello di Appello sez. lavoro n.. 906 del 28/11/2006).

Milano 30/01/2007

Il patto di prova, contenuti e forma

In occasione della stipulazione di un contratto di lavoro subordinato, le parti possono ben convenire che l’assunzione avvenga con il patto di prova. Inserire in un contratto di lavoro questo patto significa che il datore di lavoro e il lavoratore prima della scadenza del termine finale della prova, possono decidere di sciogliersi liberamente dal contratto. Lo scioglimento può avvenire dall’oggi al domani, senza alcuna conseguenza negativa per il soggetto che assume l’iniziativa di farlo. Chi si scioglie dal rapporto di lavoro non deve dare alcun preavviso e non deve pagare alcuna indennità sostitutiva. Il datore di lavoro non deve dare la prova della sussistenza di un  giustificato motivo o di una giusta causa per poter intimare il licenziamento.

Il patto di prova, però, per essere valido e produrre gli effetti che abbiamo indicato, richiede dei requisiti di forma e di sostanza che possiamo così sintetizzare. Innanzitutto, il patto di prova deve essere concluso in forma scritta. Questa forma è un elemento essenziale. Se le parti dovessero stipulare il patto in forma verbale quel patto sarebbe semplicemente nullo. Non vale niente, come se non fosse mai stato concluso e voluto dalle parti. La nullità del patto di prova significa che il rapporto di lavoro è diventato definitivo e per essere risolto per iniziativa dell’azienda occorrono i rigorosi requisiti previsti dalla legge sulla giustificazione del licenziamento.

Un ulteriore requisito essenziale per la validità del patto di prova è costituito dalla indicazione delle mansioni che dovranno essere oggetto della prova. Le mansioni devono essere ben individuate e specificate nella lettera di assunzione. Le mansioni possono essere individuate anche con il semplice richiamo al contratto collettivo e all’inquadramento. Ma il contratto collettivo così richiamato  deve fornire una conoscenza certa delle specifiche mansioni che dovranno essere oggetto della prova e che il lavoratore è chiamato a svolgere. Se il contratto collettivo in quel livello dovesse prevedere diversi profili professionali, la validità del patto di prova è seriamente compromessa.

Nei mesi o nei giorni della prestazione lavorativa, il lavoratore deve essere effettivamente adibito alle mansioni indicate nella lettera di assunzione. Lealtà esige che le mansioni svolte per provarsi reciprocamente debbano essere quelle volute e indicate nell’atto sottoscritto dalle parti.

La durata della prova varia da contratto collettivo a contratto collettivo e con riferimento al livello di inquadramento attribuito al lavoratore. Più alto è il livello più lungo può essere il patto di prova. La prova di un quadro ha necessità di un periodo di reciproca osservazione più lungo rispetto ad un operaio chiamato a svolgere mansioni semplici e ripetitive. La durata massima non può superare i sei mesi. La durata della prova può essere inferiore rispetto a quella indicata dal contratto collettivo ma non può superare la durata massima prevista dal contratto collettivo.

Il patto di prova può essere inserito anche in un contratto a tempo determinato oppure in un contratto a part time o anche in un contratto a part time e a tempo determinato. La durata della prova in un contratto a tempo determinato può essere più contenuto temporalmente rispetto a un contratto a tempo indeterminato. Per conoscere l’effettiva disciplina bisogna sempre far riferimento al contratto collettivo che si applica al rapporto di lavoro e attenersi scrupolosamente alle sue indicazioni.

Concluso il contratto le parti hanno l’obbligo di esperire la prova per un congruo termine di reciproca osservazione. Lo esige la buona fede nell’esecuzione del contratto.

Un patto di prova ben fatto non fa sorgere problemi nel caso in cui l’azienda prima della scadenza del termine decida di risolvere il rapporto di lavoro. Nel caso in cui il patto dovesse essere nullo e l’impresa dovesse occupare più di 15 addetti, al lavoratore illegittimamente licenziato spetta un risarcimento del danno che va da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità. Se l’impresa è di dimensioni più contenute il risarcimento va da due a sei mensilità della retribuzione. In tutti i casi la retribuzione mensile si calcola facendo riferimento alla retribuzione utile per il calcolo del tfr. Nella realtà sono frequenti i casi di nullità del patto di prova per assenza dei requisiti che abbiamo indicato. I principi sono chiari ma la loro esistenza non sempre è ben conosciuta da chi nell’azienda gestisce le assunzioni e conclude i contratti di lavoro.