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Rifiuta di istruirsi per lo svolgimento delle mansioni, licenziamento legittimo.

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04/06/2023

Il lavoratore si è rifiutato di approfondire lo studio dei sistemi operativi informatici dell’azienda, come richiestogli dal suo diretto superiore gerarchico, sebbene non impegnato in altre commesse; l’azienda ha inoltre accertato che la formazione sollecitata non avrebbe comportato spese a carico del dipendente, né la necessità di usufruire di permessi o di sacrificare il proprio tempo libero, risultando infondate le giustificazioni addotte dal lavoratore a sostegno del proprio rifiuto; il lavoratore in aggiunta a questa contestazione di addebito, aveva tenuto un comportamento passivo e privo di spirito di collaborazione con il cliente dove era stato mandato a prestare la sua opera, rifiutando di svolgere attività di aggiornamento dei sistemi, sebbene rientranti nelle sue competenze sistemistiche generali.

Sia il tribunale che la Corte di Appello hanno giudicato la condotta posta in essere dal lavoratore come atto di insubordinazione di rilevante gravità che giustificava il licenziamento per giustificato motivo soggettivo; questa sanzione espulsiva dal posto di lavoro è stata giudicata come misura proporzionata, anche in ragione della volontarietà del comportamento posto in essere dal dipendente.

Contro la sentenza della Corte di Appello di Roma, il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione lamentando che la Corte di Appello avrebbe dovuto inquadrare il comportamento del lavoratore nella fattispecie della “lieve insubordinazione” oppure di chi “esegua negligentemente o con voluta lentezza il lavoro affidatogli”. Il comportamento del lavoratore poteva essere punito solo con una sanzione conservativa del posto di lavoro (ammonizione, multa, sospensione dal lavoro) con la conseguenza dell’illegittimità del provvedimento di licenziamento.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, rilevando che la Corte di Appello ha adeguatamente “valutato la gravità dell'insubordinazione realizzata dal dipendente, senza alcuna giustificazione, in modo persistente e volontario, in aperto contrasto con l'obbligo di diligenza e di esecuzione delle disposizioni dettate dai superiori gerarchici, anche riferite alle esigenze di formazione e accrescimento professionale necessarie per il proficuo impiego del dipendente. Non vi è spazio per ritenere integrata la violazione di norme di diritto come denunciata e neanche risultano violate le disposizioni del contratto collettivo che prevedono, per la condotta di insubordinazione non lieve, la misura espulsiva, risultando il giudizio di proporzionalità coerente alla scala valoriale concordata dalle parti sociali.” Cass. civ, sez. Lav., ordinanza, 9 maggio 2023, n. 12241.

Nella scala dei valori individuata dal contratto collettivo il comportamento posto in essere dal lavoratore non legittimava altra diversa e più lieve sanzione disciplinare rispetto al licenziamento adottato.

Gli altri motivi del ricorso proposto dal lavoratore sono stati respinti perché inammissibili sul rilievo che “Le critiche mosse investono non fatti ma elementi probatori, per come sono stati in concreto valutati dai giudici di merito, peraltro plurimi e nessuno dei quali quindi decisivo”.

I fatti che, a giudizio del lavoratore non sarebbero stati valutati dai giudici di merito e che la Cassazione avrebbe dovuto valutare sono fatti non proponibili in Cassazione avendo i giudici di merito adottato la medesima motivazione nel respingere l’impugnazione del licenziamento. La sentenza della Corte di Appello ha la stessa motivazione di rigetto adottata dal tribunale. In questo caso non è proponibile in Cassazione il vizio dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorso per Cassazione con la doppia decisione conforme subisce una forte limitazione della possibilità di impugnazione.

Con il rigetto del ricorso, il lavoratore è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali con un costo complessivo di circa 5500 €. Onere economico non indifferente per chi vive del reddito da lavoro e su di esso fa affidamento.