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È sufficiente la grave e momentanea difficoltà economica del lavoratore per integrare il reato di sfruttamento del lavoro

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26/09/2022

Per configurare il reato di sfruttamento del lavoro, l’art. 603 bis del codice penale richiede due elementi costitutivi per la sussistenza del reato: un trattamento economico inferiore alle previsioni del contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni sindacali più rappresentative e l’aver approfittato dello stato di bisogno del lavoratore.

Il Gip del Tribunale di Pavia, assumendo l’esistenza, tra gli altri reati, anche quello di sfruttamento del lavoratore di cui all'articolo 603 bis del Codice penale, ha disposto il sequestro del compendio aziendale e delle quote sociali, nonché il sequestro preventivo del patrimonio del legale rappresentante della società e degli altri coindagati, per la somma di euro 167.155,82.

Il Tribunale di Pavia ha rigettato l'istanza di riesame presentata dall’indagato nella sua qualità di amministratore di fatto della società.

Contro l'ordinanza del Tribunale del riesame l'amministratore di fatto della società datrice di lavoro ha proposto ricorso in Cassazione, assumendo che la nozione di stato di bisogno non si riferisce a qualsiasi situazione di bisogno di lavorare per vivere ma deve essere necessariamente connessa "a condizioni di oggettiva indigenza materiale, tale da rendere la vittima oggettivamente e particolarmente vulnerabile; la gravità delle sanzioni previste per il reato di che trattasi rende particolarmente evidente la necessità di un rigoroso rispetto del principio di tassatività della fattispecie e impedisce di estendere il perimetro della norma incriminatrice oltre la lettera e lo spirito della norma, che ha la finalità di colpire un fenomeno criminale di oggettivo sfruttamento e di approfittamento di una condizione di vulnerabilità, tale da ledere la dignità del lavoratore."

La Corte di Cassazione, però, ha respinto il ricorso dell’imprenditore ritenendo l'ordinanza del riesame del Tribunale di Pavia totalmente immune da vizi e ben fondata in diritto. Per la Corte di Cassazione “Nell’ampio percorso argomentativo sviluppato sul punto dall'ordinanza impugnata, emerge una serie di elementi dichiarativi da parte di numerosi lavoratori dipendenti dalla società ricorrente, che depongono sia per una condizione di oggettivo sfruttamento soprattutto sul piano dell'orario lavorativo specie a fronte del salario corrisposto e a quello previsto dal CCNL, delle poche giornate libere e dell'assenza di retribuzione per lavoro straordinario - e di ricorrente, marcato scostamento rispetto alle condizioni pattuite; sia per la sussistenza di condizioni di oggettivo bisogno dei lavoratori. Orbene, soprattutto considerando che nella specie la valutazione degli elementi costitutivi del reato rileva a fini cautelari (ossia per la configurabilità del fumus commissi delitti), deve tenersi presente che, ai fini dell'integrazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, lo stato di bisogno non va inteso come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, bensì come una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, tale da limitare la volontà della vittima e da indurla ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose (Sez. 4, Sentenza n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport Soc. Coop. Sociale, Rv. 281405, richiamata anche nell'ordinanza impugnata; più di recente si vedano Sez. 4, n. 45615 dell'11/11/2021, Mazzotta, e n. 7861 dell'11/11/2021, deo. 2022, Cirigliano, )". Corte di Cassazione penale sezione 4ª sentenza n. 34.600 del 20 settembre 2022.

Per comprendere la motivazione della sentenza della Corte di Cassazione è utile riportare con esattezza e nel suo testo letterale la previsione dell’articolo 603 bis del Codice penale: "è punito con la reclusione ... chiunque, utilizza, assume o impiega manodopera sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno…"

La norma aggiunge e specifica che costituisce indice di sfruttamento la violazione delle previsioni dei contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale o, comunque, la sussistenza di un trattamento economico e normativo sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato.

In caso di condanna per il reato di sfruttamento del lavoro è prevista "la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto”. La condanna comporta l'interdizione dagli uffici direttivi, l'esclusione da agevolazioni e da finanziamenti pubblici.

Dalla lettura della norma si evince che a livello civilistico, il datore di lavoro, nel nostro ordinamento giuridico, ha l'obbligo di applicare alle sue maestranze i contratti collettivi nazionali o territoriali. Se a questa mancata applicazione del contratto collettivo si dovesse aggiungere la circostanza in fatto dell’aver approfittato dello stato di bisogno del prestatore d’opera si consumerebbe il reato di sfruttamento del lavoro. Con questa forte e incisiva norma del nostro Codice penale i contratti collettivi hanno acquisito efficacia erga omnes, senza la promulgazione di una specifica legge come è avvenuto alla fine degli anni '50 e inizio anni '60.  Con questa norma non c'è settore lavorativo che non sia tutelato perché è previsto l’obbligo di applicare il contratto collettivo, e non un qualsiasi contratto collettivo ma quello sottoscritto dalle organizzazioni sindacali più rappresentative.

In questo quadro giuridico il dibattito sul salario minimo garantito, di cui tanto si dibatte a livello politico e sindacale, è di scarso impatto perché con la norma in esame è già garantito il salario minimo dei contratti collettivi. La contrattazione collettiva richiamata dalla norma penale dell’art. 603 bis del codice penale, in genere, riconosce al lavoratore un salario anche superiore alle 9 euro all'ora.

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