30/06/2022
L’azienda ha sottoscritto con le sue rappresentanze sindacali interne un accordo integrativo aziendale, che avrebbe dovuto avere durata dal 2019 al 2023, con l'eventuale successivo rinnovo di anno in anno, salvo disdetta di una delle parti con preavviso di 6 mesi.
Quest’accordo integrativo aziendale ha previsto e disciplinato una pluralità di emolumenti economici da erogare ai lavoratori. All’accordo integrativo aziendale originario è succeduto tra le parti un altro e successivo accordo che prevedeva l’erogazione di questi emolumenti economici, a determinate scadenze, al solo personale che “avesse pianificato la fruizione, in ciascuno degli anni in questione, di tutte le ferie correnti e di parte delle ferie pregresse”.
Nel 2021 l’azienda ha deciso unilateralmente di non dare più applicazione alla parte economica del contratto integrativo aziendale e di non corrispondere così i vari emolumenti previsti nell’accordo originario del 2019 nonostante l’avverarsi delle condizioni.
A motivazione di questa sua decisione l'azienda ha assunto la circostanza che alcuni dipendenti non avevano provveduto a pianificare le ferie già maturate e quelle ancora da maturare. Molti altri dipendenti, invece, avevano provveduto a questa pianificazione dando adempimento ed esecuzione all’accordo integrativo aziendale con la conseguente maturazione del diritto agli emolumenti economici.
Il Tribunale di Bologna ha ritenuto questo comportamento aziendale del tutto illegittimo perché l'accordo integrativo aziendale, così come sottoscritto dalle parti, “non prevede in alcuna parte che il diritto dei dipendenti alla corresponsione degli emolumenti dovuti in forza dell’Accordo integrativo, sia condizionato alla fruizione delle ferie pregresse e correnti, ma si limita a dilazionare nel tempo la corresponsione di tali emolumenti, per ciascuno dei dipendenti, al raggiungimento di un determinato obiettivo di smaltimento delle ferie”.
Nell'accordo integrativo aziendale non vi sono clausole o previsioni di condotta specifica dei lavoratori che possano legittimare o giustificare in qualche modo il recesso aziendale, prima della scadenza, dal contratto, senza dare esecuzione all’accordo.
Questo recesso unilaterale dal contratto integrativo aziendale esercitato dall’impresa è stato ritenuto dal Tribunale di Bologna come atto illegittimo “che integra pienamente gli estremi della condotta antisindacale, prevista e sanzionata dall’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, poiché vulnera gravemente l’immagine e la credibilità del sindacato negoziatore degli accordi, poi disattesi unilateralmente ed illegittimamente”.
L’art. 28 dello statuo dei lavoratori reprime la condotta antisindacale che si verifica “Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libertà e dell'attività sindacale”. Quel comportamento del datore di lavoro è stato ritenuto come lesivo di questa norma.
La condotta antisindacale dell’azienda è stata individuata nella disdetta con effetto immediato dell'accordo integrativo e nel rifiuto di corrispondere gli emolumenti economici previsti dalle norme pattizie ai lavoratori interessati.
Il Tribunale di Bologna ha condannato così l’azienda a cessare con immediatezza la sua condotta antisindacale, dando applicazione all’accordo integrativo aziendale corrispondendo gli emolumenti previsti nell'accordo integrativo aziendale a tutti i dipendenti che hanno raggiunto gli obiettivi di smaltimento delle ferie, con l’obbligo di corrispondere tali emolumenti anche agli altri dipendenti nel momento in cui avevano raggiunto questi obiettivi.
Il Tribunale di Bologna ha disposto la pubblicazione dell’ordinanza a spese dell'azienda su alcuni quotidiani a diffusione nazionale. (Ordinanza comunale di Bologna sezione lavoro nella causa numero ruolo generale 1895/2021, pronunciata il 25 aprile 2022).
L’ordinanza emessa in sede di ricorso per comportamento antisindacale ha una particolare forza cogente perché prevede nei confronti del datore di lavoro che non l’adempie la consumazione del reato previsto dall’art. 650 del codice penale (Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità), con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a 206 euro.
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