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Socrate ed Eutifrone davanti al Tribunale

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04/02/2022

 Nel cuore del processo, tra parola, verità e giustizia

Nei tribunali si discute. A lungo, a volte all’infinito.
Si ascoltano tesi opposte, si sollevano eccezioni, si contestano fatti, intenzioni, circostanze.
A chi guarda da fuori, tutto questo può apparire cavilloso, ripetitivo, perfino inutile.
Ma Socrate — nel suo celebre dialogo con Eutifrone — ci invita a guardare più a fondo.

“Non è sul principio che si litiga — che l’ingiustizia debba essere punita è cosa ovvia —
ma su chi abbia commesso l’ingiustizia, su cosa abbia fatto, e quando.”

Il punto, allora, non è l’esistenza della giustizia, ma la sua concreta applicazione:
Chi ha agito? Perché l’ha fatto? In quale contesto? Con quale consapevolezza?
E, soprattutto: quale pena è davvero giusta?

Il processo non è teatro della parola vana, ma spazio della parola necessaria.
La discussione non è artificio, ma strumento:
per distinguere l’apparenza dalla realtà,
per separare la colpa dall’errore,
per costruire una risposta che sia equa, non solo conforme alla norma.

Dietro ogni causa c’è un nodo da sciogliere.
E ogni nodo richiede tempo, ascolto, confronto.

Socrate, ancora una volta, ci ricorda che la giustizia non si applica meccanicamente,
ma si pensa, si discute, si argomenta.
Perché non è mai la giustizia in astratto a essere in gioco,
ma la sorte concreta di un uomo, di un’azione, di una vita.