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Rapina all'ufficio postale, con pistola alla tempia contro l'impiegata

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23/06/2021

obbligo del risarcimento dei danni a carico delle poste italiane

Una dipendente delle poste italiane di Ancona nel corso di una rapina avvenuta all'interno dell'ufficio postale presso il quale prestava servizio è stata minacciata da un rapinatore che le ha puntato la pistola alla nuca. La lavoratrice ha dedotto di aver subito un grave danno biologico di cui ha chiesto il risarcimento al suo datore di lavoro. Il tribunale la corte di appello hanno ritenuto che nel caso sottoposto all'esame sussisteva la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'articolo 2087 del codice civile perché nell'occasione non aveva adottato tutte le misure idonee a garantire la sicurezza dei lavoratori presenti nell'ufficio. Conseguentemente i giudici hanno accolto la domanda risarcitoria proposta dall'impiegata. Per il giudice di merito l'impresa non ha considerato nell'adottare le misure di sicurezza che l'ufficio postale si trovava sotto i portici di un condominio, in una zona periferica della città e quindi non visibile della strada; l'ufficio aveva la possibilità di ingresso libero nei locali dell'ufficio, senza filtro di sicurezza. Tutto questo rendeva altamente probabile verificarsi di rapina, peraltro all'epoca frequenti. Per la cassazione "le misure adottate quali vetri antisfondamento, sensori di allarme, telecamere per la visione degli accessi collegate a videoregistratori, dispensatori di denaro a tempo e pulsanti di allarme antirapina erano per lo più idonee a tutelare il patrimonio della società ma non anche funzionali a garantire la sicurezza dei dipendenti;"
la responsabilità dell'impresa nel caso esaminato non è di tipo oggettivo come falsamente sostengono le poste italiane ma è configurabile nella violazione dell'obbligo di protezione dei dipendenti che non è stato adeguatamente adempiuto dall'impresa. Nell'occasione l'impresa avrebbe dovuto adottare ben altri e diversi strumenti di tutela della salute e dell'incolumità dei suoi dipendenti.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 novembre 2020 – 10 giugno 2021, n. 16378