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Chiede il permesso sindacale per partecipare a delle riunioni ma si dedica ad altra e diversa attività sindacale: licenziato

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13/03/2021

La Corte d'Appello ordina la reintegrazione nel posto di lavoro, la Cassazione conferma

Un'azienda di autotrasporti contesta ad un autista, componente della segreteria UIL trasporti del Molise, di aver tenuto un comportamento contrario ai principi di correttezza, buona fede, fedeltà e diligenza perché, in tre diversi giorni, non aveva partecipato alle riunioni sindacali di categoria per le quali aveva chiesto il permesso ai sensi dell'articolo 30 dello statuto dei lavoratori. All'esito della procedura di contestazione di addebito, l'azienda gli ha intimato il licenziamento per giusta causa, ritenendo sussistente l'assenza ingiustificata dal servizio.

La Corte di appello di Campobasso, riformando la sentenza del locale Tribunale, ha accolto il ricorso del sindacalista-lavoratore e ne ha ordinato la reintegrazione nel posto. Per la Corte di Appello la decisione si giustificava per la circostanza che il lavoratore, nei giorni della sua assenza, pur non avendo partecipato ad alcuna riunione sindacale, aveva, tuttavia, svolto attività riconducibile al suo mandato di componente della segreteria regionale dell'organizzazione sindacale. Per la Corte d'Appello, inoltre, per quella tipologia di assenza, il contratto collettivo prevedeva solo la sanzione conservativa del posto di lavoro e non il licenziamento. Quest'ultima circostanza ha fatto sì che fosse ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro e non riconosciuto il semplice e solo risarcimento del danno, con esclusione del ripristino del rapporto di lavoro.

Contro la sentenza della Corte di Appello, ha proposto ricorso in Cassazione l'azienda con una pluralità di motivi. La Cassazione, però, li ha respinti nella loro totalità.

La Corte di Cassazione ha colto l'occasione per ribadire che i permessi retribuiti "per i dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali, possono essere utilizzati soltanto per la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi" e che "l'utilizzo per finalità diverse dei permessi, comporta un’assenza del dipendente da cui deriva una mancanza della prestazione per causa a lui imputabile che può giustificare la risoluzione del rapporto".

Esaminandola, però, nella sua concretezza, la condotta contestata al lavoratore non configura una gravità di comportamento tale da consentire il licenziamento per giusta causa, per la sua sproporzione. Alla Corte di Appello e a quella di Cassazione non sfugge il disvalore del comportamento posto in essere dal lavoratore con la sua condotta ma adeguando "le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo" occorre interpretarla "mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama”. In questa prospettiva la Cassazione ha sottolineato il rilievo che a tal fine assume la valutazione del “contratto collettivo, la scala valoriale ivi espressa nella individuazione delle ipotesi di rilievo disciplinare e la relativa graduazione delle sanzioni". La Corte di Cassazione ha escluso così che nel comportamento del lavoratore vi possa essere la "configurabilità di un'ipotesi di abuso del diritto". La Cassazione, infine, ha sottolineato la sussistenza del principio della verifica da parte del giudice "della proporzionalità della sanzione espulsiva sulla base della integrazione del generale precetto di legge " e non della sola previsione del contratto collettivo che deve essere sempre interpretato nelle sue varie previsioni con il rispetto dei principi generali del nostro ordinamento.

Il lavoratore è stato così definitivamente reintegrato nel posto di lavoro, con il risarcimento del danno per la retribuzione persa e il riconoscimento della contribuzione previdenziale per tutto il periodo della sua espulsione dal posto di lavoro poi ripristinato. Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 6495/21, depositata il 9 marzo 2021.