04/02/2021
Il dipendente, durante il turno notturno di servizio,” ha detto ad un cliente che se non avesse avuto la mascherina di protezione, non gli avrebbe fatto la transazione in cassa per l’acquisto di due prodotti del market” (due pacchetti di sigarette). il datore di lavoro ha accusato il dipendente di essere “inadempiente nei confronti dei suoi obblighi contrattuali” per aver “disatteso le indicazioni aziendali previste in questo periodo di emergenza sanitaria”, e di aver “danneggiato gravemente l’immagine aziendale”. L’azienda ha così intimato il licenziamento disciplinare che il lavoratore ha impugnato davanti al giudice.
Il tribunale di Arezzo ha così ricostruito i fatti: Il cliente si avvicinò al cassiere senza mascherina o presidio alternativo; il cassiere con tono di voce normale, gli disse che “per avvicinarsi si poteva coprire con il collo della felpa (come fanno tanti sprovvisti di mascherina)”. il cliente ha risposto “che le mascherine le portano i malati”; aggiungendo che “la società e i suoi dipendenti) erano dei ladri che gli prosciugano lo stipendio e che mentre prima lo facevano a viso scoperto ora lo facevano con le maschere”. Aggiunse “che avrebbe chiamato la Polizia – e, poi, - si è allontanato”.
Il tribunale ha ritenuto assolutamente illegittimo il licenziamento perché In questo colloquio tra cassiere e cliente non vi sono state né le gravi offese né i fatti di grave pregiudizio per l’azienda.
Per il tribunale “Il cassiere ha avuto una reazione verbale giustificata dall’esasperazione per una condotta altrui omissiva, denotante ignorante sottovalutazione del fenomeno pandemico, accompagnata da frasi villane e sprezzanti della salute propria e degli altri clienti, oltreché del cassiere.
Né “grave fatto” fu il rifiuto del servizio perché, anche a prescindere che fu condizionato all’invito a coprirsi con la felpa, non recò pregiudizio per un mancato acquisto di un pacchetto di sigarette.
Manca poi qualsiasi elemento di gravità per quanto accaduto.”
Per il tribunale “La condotta censurata da parte datoriale è, pertanto, inidonea a ledere definitivamente la fiducia alla base del rapporto di lavoro, così non integrando violazione del dovere di fedeltà posto dall’art. 2105 c.c. né, tantomeno, giusta causa di licenziamento.”
Per il tribunale “il lavoratore si è limitato ad esercitare il proprio diritto, costituzionalmente garantito, a svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza.
L’esimente dello stato di necessità gli consentiva del resto, pur in assenza di una specifica disposizione di legge, anche di astenersi dal lavoro poiché lo svolgimento della prestazione lo esponeva ad un rischio di danno alla persona.”
Tribunale di Arezzo, sez. Lavoro, sentenza n. 9/21; depositata il 13 gennaio 2020
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