13/08/2020
Un operaio addetto allo stampo di lamiere alle dipendenze della Società Industrie di Atessa srl subisce un infortunio sul lavoro. Si apre il procedimento penale per lesioni colpose nei confronti delle persone ritenute responsabile del fatto. Il procedimento penale si definisce con il patteggiamento della pena. L’Inail agisce in regresso contro i responsabili e contro la società per ottenere la restituzione delle somme erogate al lavoratore in conseguenza dell’infortunio subito, dopo tre anni dalla definizione del procedimento penale. La corte di appello respinge la domanda dell’Inail perché “la sentenza di patteggiamento, non costituendo un vero e proprio accertamento del fatto reato, rientrava nelle ipotesi prevista nel D.P.R., art. 112, u.c., prima parte, per cui il termine di tre anni ivi previsto era di decadenza e come tale insuscettibile di interruzioni o sospensioni”.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’Inail. La Cassazione ha accolto il ricorso ed ha affermato il seguente principio: “in tema di azione di regresso dell’Inail ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112 nei confronti delle persone civilmente responsabili per le prestazioni erogate a seguito di infortunio su lavoro, e avuto riguardo alla distinzione tra le ipotesi in cui manchi un accertamento del fatto - reato da parte del giudice penale (ove l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di decadenza) e le ipotesi di sussistenza di tale accertamento con sentenza penale di condanna (in cui l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di prescrizione), la sentenza di applicazione della pena su richiesta dell’imputato, pronunciata dal giudice penale ai sensi dell’art. 444 c.p.p., deve ritenersi di condanna, con la conseguenza che il termine di cui all’art. 112 cit. si configura come termine di prescrizione ed è pertanto suscettibile di interruzione." (cfr Cass. n 2242/2007, 2628/2006). Si è affermato nella citata giurisprudenza che "l’applicazione della pena su richiesta - cd. patteggiamento - costituisce una ipotesi di definizione anticipata del procedimento penale mediante una sentenza con cui il giudice, verificata la correttezza della qualificazione giuridica del fatto contestato e valutata la ricorrenza di circostanze con la comparazione fra le stesse, applica la pena concordata tra imputato e P.M., se ritenuta congrua, sempre che non ritenga di dover prosciogliere l’imputato.
Ne consegue che la sentenza non può essere annoverata tra quelle di proscioglimento essendo anzi ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 1, equiparata ad una pronuncia di condanna, "salvo diverse disposizioni di legge" che nella specie non sussistono. Pertanto il termine di cui si tratta va ritenuto, con riguardo alla fattispecie in esame di prescrizione, suscettibile di interruzione".
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 gennaio – 7 agosto 2020, n. 16847
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