29/06/2020
Con sentenza del giugno 2018, la Corte d'Appello di Torino confermava la decisione resa dal Tribunale di Novara e rigettava la domanda proposta da I.G. nei confronti della Barilla G. e R. Fratelli S.p.A. avente ad oggetto la declaratoria dell'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato al dipendente per aver l'impresa datrice, ricorrendo ad un'agenzia investigativa, accertato a carico del primo lo svolgimento di attività incompatibile con lo stato di malattia addotto a giustificazione dell'assenza dal lavoro.
La decisione della Corte di appello discende dall'aver questa ritenuto legittimi gli accertamenti investigativi, corrette le valutazioni del primo giudice circa la valenza confessoria attribuita alle giustificazioni rese dal dipendente anche in relazione alle operazioni di carico manuale della legna, la rilevanza degli ulteriori comportamenti addebitati, l'inattendibilità dei testi sentiti ed, infine, provato anche in via presuntiva il compimento di sforzi non consentiti dalle prescrizioni mediche.
Contro la sentenza ha proposto impugnazione in cassazione il lavoratore ma senza successo. I motivi di impugnazione per la Cassazione “devono ritenersi inammissibili, atteso che il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine all'idoneità delle condotte tenute dal ricorrente a porre in pericolo e a ritardare potenzialmente la guarigione in quanto lo stesso era tenuto ad astenersi dal compiere attività che potevano comportare un sia pur minimo impegno fisico o anche solo apprezzabili sollecitazioni agli arti superiori si rivela sostenuto da argomentazioni ineccepibili sul piano logico e giuridico che le censure mosse non valgono ad inficiare cosicché rispetto a queste le prime risultano tali da resistervi; si deve infatti osservare come, da un lato, il valore confessorio attribuito dalla Corte territoriale alle giustificazioni del ricorrente e qui non disconosciuto rilevino al fine di fondare, anche in via presuntiva, il giudizio sulla veridicità delle condotte addebitate e sull'inattendibilità dei testi e come, dall'altro, la corretta considerazione per cui la consumabilità delle condotte non dipende dalla concreta e accertata incidenza ex post delle attività del lavoratore sul processo di guarigione bensì sulla loro potenziale idoneità ad interferire con tale processo valgano ad avvalorare la decisione di mancata ammissione della richiesta CTU e la conclusione, non certo smentita dal rilievo del ricorrente per cui il periodo di rigorosa osservanza del riposo doveva ritenersi, alla luce del certificato medico scaduto, il giorno precedente a quello in cui si era accertato fossero state tenute quelle condotte, per cui il dovere di correttezza e buona fede doveva indurre il ricorrente ad astenersi da attività, come il carico e scarico della legna o il trasporto di taniche o anche la guida di un trattore, potenzialmente idonee a pregiudicare il recupero."
Cassazione Camera di Consiglio, il 10 dicembre 2019, Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020.
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo