01/03/2020
5 lavoratori sono stati licenziati per giustificato motivo oggettivo senza che l’azienda adottasse la procedura del licenziamento collettivo prevista dalla legge n. 223 del 1991. Ricorrono in tribunale, sostengono la invalidità del loro licenziamento e chiedono la reintegrazione nel posto di lavoro. La società si difende e assume che all’epoca dell’intimato licenziamento non occupava più di 15 addetti con rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e a tempo indeterminato. Conseguentemente ben poteva intimare i plurimi licenziamenti senza adottare la procedura del licenziamento collettivo. Il tribunale e la corte di appello hanno dato ragione ai lavoratori perchè il licenziamento doveva essere intimato nel rispetto della procedura collettiva. Il datore di lavoro ha fatto ricorso alla Cassazione che però, ha respinto il ricorso con questa motivazione:
“La tesi della ricorrente -secondo cui la verifica del requisito dimensionale ai fini dell'operatività̀ della legge n. 223 del 1991 deve essere effettuata -nella ipotesi di ammissione della azienda al trattamento straordinario di integrazione salariale ai sensi dell'art. 4 co. 1 della legge n. 223 del 191, al momento dell'attuazione del programma, allorquando non si ritiene di potere assicurare il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non potere ricorrente a misure alternative- è stata correttamente respinta dalla Corte territoriale.
9. In sede di legittimità̀ si è, infatti, affermato il principio (Cass. n. 13796 del 1999; Cass. n. 1465 del 2011) in virtù̀ del quale il criterio di cui all'art. 1 della legge n. 223 del 1991 (cioè̀ che in tema di licenziamenti collettivi il requisito dimensionale non deve essere determinato in riferimento al momento della cessazione dell'attività̀ e dei licenziamenti, ma con riguardo alla occupazione dell'ultimo semestre) individua una specifica regola di determinazione del requisito dimensionale e che tale criterio appare estensibile, nell'ambito di una interpretazione coordinata e sistematica della legge, anche alla lettera della disposizione dell'art. 24 della legge n. 223 del 1991: ciò al fine di evitare applicazioni artificiose ed elusive della norma predetta (Cass. n. 12592 del 1999). “
Cassazione ordinanza. Sez. Lavoro Num. 5240 Data pubblicazione: 26/02/2020.
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo