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Pubblica sulla sua pagina facebbok critiche all’azienda da cui dipende: licenziato

La segnalazione fatta all’azienda dal suo amico che aveva autorizzato accesso alle pagine facebook

Con sentenza del 25 maggio 2017, la Corte d'Appello di Torino, in sede di reclamo ex art. 1, comma 54, L. n. 92/2012, confermava la decisione resa dal Tribunale di Alessandria e rigettava la domanda proposta da un lavoratore, nei confronti di AMAG Ambiente S.p.A. (già Amiu S.p.A.), avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli per aver pubblicato sul social network Facebook, a far data dal 26 agosto 2015, immagini e commenti di natura offensiva nei confronti della Società datrice e dei suoi responsabili;
che la decisione della Corte territoriale discende dall'aver questa ritenuto provate, a prescindere dal carattere anonimo della denuncia, le circostanze su cui è fondata la tesi della riferibilità al lavoratore dei comportamenti contestati, ovvero l'aver la persona in concreto presentatasi presso gli uffici Amag segnalato e consentito di verificare la presenza sul profilo Facebook del lavoratore, cui aveva accesso in quanto "amico", la presenza delle immagini e dei commenti poi contestati, legittime, ai sensi dell'art. 8, L. n. 300/1970, in quanto volte ad accertare non le opinioni bensì atteggiamenti rilevanti ai fini della verifica dell'attitudine professionale, sussistente la potenzialità diffusiva del materiale postato e congrua la reazione aziendale in relazione alla disciplina collettiva invocata ed all'idoneità lesiva del vincolo fiduciario tra le parti da riconnettersi alla condotta da qualificarsi dolosa del lavoratore.

La segnalazione all’azienda del contenuto della pagina di facebook da parte di un sedicente “amico” di quel lavoratore è costata molto cara al lavoratore che, licenziato, si è visto confermare la legittimità del suo licenziamento in tutte le istanza giudiziarie. I giudici sono stati tutti concordi a punirlo con la massima sanzione.

La Cassazione, per ultimo, ha rigettato le doglianze del lavoratore perché le ha ritenute inammissibili e infondate. Al rigetto delle sue domande è conseguita anche la condanna al pagamento delle spese processuali a favore dell’azienda.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 11 ottobre – 12 novembre 2018, n. 28878