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Non sempre si devono restituire le somme al datore di lavoro che sostiene di aver pagato ma che non le doveva al lavoratore

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22/09/2018

La cassazione dice: solo se è frutto di errore essenziale del datore di lavoro riconoscibile dal lavoratore

Una banca invia un proprio dipendente in una sede di lavoro diversa da quella assegnata con un provvedimento di distacco momentanea. Per questo distacco la banca corrisponde al collaboratore un contributo mensile per le spese di viaggio. Cessato il distacco, il lavoratore è ritornato nella sede di origine; nonostante la cessazione del distacco, però, la banca ha continuato normalmente a corrispondere al lavoratore il rimborso delle spese di viaggio; questa corresponsione è durata ininterrottamente fino alla definitiva cessazione del rapporto di lavoro. Cessato il rapporto di lavoro, il lavoratore ha avanzato la richiesta di avere il riconoscimento dell'incidenza del rimborso delle spese di viaggio sul trattamento di fine rapporto che per tanti anni l'azienda gli aveva periodicamente e consecutivamente corrisposto per tutti i mesi. La banca si è opposta alla domanda del lavoratore sostenendo che quei rimborsi delle spese di viaggio che aveva erogato al suo collaboratore, anche successivamente al venir meno del distacco, non erano in realtà dovuti perché non più giustificabili e connessi ai viaggi che non ha più eseguito; chiedeva così che il lavoratore fosse condannato alla restituzione dei relativi importi.

Il tribunale ha respinto la domanda della banca ma la corte d'appello l'ha accolta condannando l'ex dipendente a restituire le somme che aveva percepito a titolo di rimborso delle spese di viaggio anche dopo la cessazione del distacco, per non averne titolo.
La controversia è finita in cassazione.
La cassazione, però, ha ribaltato la decisione della corte di appello affermando dei principicompletamente diversi.
La cassazione, dirimendo  controversia, ha affermato che in presenza di un reiterato e costante pagamento che si verifichi nell'ambito di un rapporto di lavoro fa presumere la natura retributiva di quel compenso. Spetta al datore di lavoro dimostrare eventualmente l'insussistenza di questa natura e provare che quell'elargizione è stata frutto di un errore. L'onere probatorio su queste circostanze in fatto  è interamente a carico del datore di lavoro e non del lavoratore come ha, invece, erroneamente sostenuto la corte di appello. L'errore, per la cassazione, può essere frutto di annullamento di un atto giuridico ma per assurgere a questa dignità deve essere essenziale e riconoscibile dall'altro contraente.
La controversia ritorna alla corte di appello perché riesamini nuovamente i fatti e decida la controversia secondo questi principi  affermati dalla cassazione.
Il lavoratore per tanti anni ha fatto affidamento, in buona fede, sul diritto a percepire quell'importo; non può questo affidamento essere posto nel nulla, come se niente fosse, a distanza di anni chiedendo indietro somme regolarmente corrisposte.

corte di cassazione sezione lavoro sentenza n. 22.337/2018; depositata il 13 settembre