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Dedicarsi a lavori extraziendali durante la malattia, non comporta l'automatica legittimità del licenziamento

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07/07/2018

Occorre esaminare attentamente il comportamento del lavoratore, lo afferma la Cassazione

Un operario è stato licenziato per giusta causa dalla società Tasso s.r.l. per avere svolto attività lavorativa in proprio (tinteggiatura di esterni) durante l’ultimo giorno di un periodo di assenza per malattia protrattosi dal 14.7.2015 al 17.7.2015 per asserita gastroenterite; la Corte d’Appello di L’Aquila rigettava il reclamo proposto ex art. 1 comma della legge n. 92 del 2012 e confermava la sentenza del Tribunale di Lanciano che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento e, in accoglimento della domanda subordinata proposta dalla società, aveva applicato nei confronti del lavoratore la sanzione disciplinare conservativa di tre giorni di sospensione dal lavoro:

La società ha fatto ricorso in Cassazione. La Cassazione, premesso che alcune censure della società avevano ad oggetto la ricostruzione dei fatti, sui quali non aveva il potere di intervenire per legge, ha rigettato il ricorso dichiarando che i giudici nell’emettere la loro sentenza si sono uniformati ai principi affermati dalla Cassazione così sintetizzati:

"lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio" (da ultimo, Cass. n. 10416 del 27/04/2017). Risulta evidente dunque come non sia sufficiente il mero svolgimento di un’attività lavorativa durante la malattia per configurare una violazione dei principi di buona fede e diligenza, poiché "non sussiste per il lavoratore assente per malattia un divieto assoluto di prestare - durante tale assenza - attività lavorativa in favore di terzi, purché questa non evidenzi una simulazione di infermità, ovvero importi violazione al divieto di concorrenza, ovvero ancora, compromettendo la guarigione del lavoratore, implichi inosservanza al dovere di fedeltà imposto al prestatore d’opera. Pertanto non si configura giusta causa di licenziamento ove non sia stato provato che il lavoratore abbia agito fraudolentemente in danno del datore di lavoro, simulando la malattia per assentarsi in modo da poter espletare un lavoro diverso o lavorando durante l’assenza con altre imprese concorrenti (con quella cui è contrattualmente legato) oppure - anziché collaborare al recupero della salute per riprendere al più presto la propria attività lavorativa -abbia compromesso o ritardato la propria guarigione strumentalizzando così il suo diritto al riposo per trarne un reddito dal lavoro diverso in costanza di malattia ed in danno del proprio datore di lavoro" (v. ancora Cass. n. 4237 del 3/03/2015).

Il licenziamento è stato così definitivamente convertito in una sanzione conservativa del posto di lavoro.Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza n. 17424/18; depositata il 4 luglio