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Nel licenziamento collettivo l'impresa deve trasmettere entro 7 giorni la scheda personale dei lavoratori licenziati. L'inosservanza del termine comporta l'inefficacia del licenziamento.

tag  Cassazione  16144  2018 

21/06/2018

Lo dice la Cassazione

Una società ha avviato una procedura di licenziamento collettivo all'esito della quale ha proceduto al licenziamento di tutte le sue maestranze, cessando l'attività imprenditoriale. La datrice di lavoro, però, dopo aver inviato la lettera di licenziamento al lavoratore interessato, ha provveduto ad inoltrare la comunicazione con l'elenco dei lavoratori licenziati alle organizzazioni sindacali di categoria e agli organismi amministrativi regionali oltre il termine dei 7 giorni, previsti dalla legge, avendovi provveduto quando ormai erano già decorsi ben 2 mesi dall'invio della lettera di licenziamento.

Il Tribunale e la Corte d'Appello hanno dichiarato l'illegittimità del licenziamento condannando la datrice di lavoro a corrispondere al lavoratore 12 mensilità di retribuzione. L'azienda ha fatto ricorso in cassazione sostenendo l'erroneità della sentenza dei giudici di merito.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell'azienda rilevando che la legge prevede che, esaurita la procedura sindacale, l'impresa ha la facoltà di collocare le maestranze in mobilità comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso; entro 7 giorni l'impresa deve inoltre trasmettere per iscritto per iscritto all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni sindacali, l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta. Per la Cassazione, il termine della comunicazione dei 7 giorni ha "carattere essenziale" ed opera "in modo cogente, rivelandosi incoerente con il complessivo disegno legislativo ed in contrasto con la funzione di garanzia attribuita alle comunicazioni ogni altra diversa interpretazione, a nulla rilevando che il licenziamento collettivo di cui trattasi fosse stato attuato sulla base di un criterio di scelta unico per il verificarsi della cessazione dell’attività aziendale".

Continua la Cassazione affermando che "quanto alla censura relativa al ritardo con cui sono state effettuate le comunicazioni, deve anche qui richiamarsi l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, secondo cui, in tema di licenziamenti collettivi, il requisito della contestualità della comunicazione del recesso al lavoratore e alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro, richiesto a pena d’inefficacia del licenziamento medesimo, non può che essere valutato, in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido ed analitico, e con termini molto ristretti, nel senso di una necessaria ed ineliminabile contemporaneità delle due comunicazioni la cui mancanza può non determinarne l’inefficacia, solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, da comprovare dal datore di lavoro (Cass. n. 1722/09; Cass. 16776/09; Cass. n. 7490/11).
In tema di licenziamento collettivo (secondo la disciplina antecedente alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92), la contestualità fra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro dell’elenco dei dipendenti licenziati e dei criteri di scelta, richiesta, a pena di inefficacia del licenziamento, dall’art. 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, si giustifica al fine di consentire alle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo sulla correttezza nell’applicazione dei menzionati criteri da parte del datore di lavoro, anche al fine di sollecitare, prima dell’impugnazione del recesso in sede giudiziaria, la revoca del licenziamento eseguito in loro violazione;
da tali premesse consegue come la funzione di tale ultima comunicazione implichi che non possa accedersi ad una nozione "elastica" di contestualità, riferita anche alla data in cui il licenziamento abbia effetto, dovendosi ritenere irragionevole che, per non incorrere in una decadenza dal termine di cui all’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il lavoratore debba impugnare il licenziamento senza la previa conoscenza dei criteri di scelta (Cass. n. 8680/15; Cass. 22024/15)."

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 16144/18; depositata il 19 giugno.