14/04/2018
Un lavoratore è stato accusato dalla Procura della Repubblica di aver detenuto alcune piantine di marijuana e di altri attrezzi quali una trincia tabacco per la preparazione di sigarette e composti di pipa, sacchetti di plastica , alcuni semi di marijuana; nell’ipotesi accusatoria vi era anche l’ipotesi dello spaccio di sostanze stupefacenti. Il lavoratore avanti il giudice penale ha ritenuto di dover patteggiare la pena e chiudere il procedimento penale con una pena concordata con il pubblico ministero.
Il datore di lavoro, a chiusura del procedimento penale definito con il patteggiamento, ha contestato al lavoratore, che svolgeva mansioni di autista, i fatti oggetto del capo di imputazione e la loro incompatibilità con le mansioni di autista. A conclusione della procedura, ha intimato il licenziamento disciplinare. Il tribunale e la corte di appello hanno dichiarato legittimo il licenziamento.
Avanti la Cassazione si discuteva tra le parti se fosse valida la sentenza di patteggiamento penale nella causa civile introdotta dal lavoratore contro il datore di lavoro, al fine di valutare la legittimità del licenziamento disciplinare. La Cassazione ha riaffermato il principio secondo il quale ha valenza probatoria nel giudizio disciplinare la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. che costituisce “un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. La sentenza di applicazione della pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presuppone comunque un’ammissione di colpevolezza”. Il licenziamento disciplinare è stato definitivamente ritenuto legittimo perché è stato riconosciuta l'esistenza diretta del nesso causale tra le mansioni di autista pubblico e l’uso delle sostanze stupefacenti. Questo nesso causale non consentiva certamente la prosecuzione del rapporto di lavoro. Cassazione sez. lavoro num. 9126 12 aprile 2018.
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo