21/11/2017
Un addetto alle poste con mansioni di operatore al computer per l’indirizzo e lo smaltimento di lettere, raccomandate e di altro prodotto postale, diverso dalle raccomandate assicurate o con priorità, di natura esecutiva, senza connotazioni di responsabilità né a contatto con il pubblico, è stato licenziato perché aveva patteggiato avanti il tribunale penale a un anno e quattro mesi di reclusione per la detenzione di 92 g di hashish. le modalità di consumazione del reato sono state totalmente estranee allo svolgimento dell'attività lavorativa. L'azienda assumeva quale giustificazione del licenziamento disciplinare il venir meno, in modo irreversibile, di ogni rapporto di fiducia nei confronti della persona del lavoratore che nella sua vita extra lavorativa aveva violato la norma penale. La corte di appello ha reintegrato il lavoratore nel posto di lavoro. L'azienda ha fatto ricorso in Cassazione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso aziendale con la seguente motivazione:
"3.2 È noto come il concetto di giusta causa non sia limitabile all’inadempimento tanto grave da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro, ma sia estensibile anche a condotte extralavorative, che, tenute al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione lavorativa, nondimeno possano essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti (da ultimo: Cass. 18 agosto 2016, n. 17166). Infatti, anche condotte concernenti la vita privata del lavoratore possono in concreto risultare idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, allorquando abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative d’un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività. Parimenti, comportamenti extralavorativi imputabili al lavoratore possono colpire interessi del datore di lavoro, violando obblighi di protezione: sicché, il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o comprometterne il rapporto fiduciario (Cass. 19 gennaio 2015, n. 776; Cass. 31 luglio 2015, n. 16268). Nondimeno, è pur sempre necessario che si tratti di comportamenti che, per la loro gravità, siano suscettibili di scuotere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro perché idonei, per le concrete modalità con cui si manifestino, ad arrecare un pregiudizio, anche non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali (Cass. 18 settembre 2012, n. 15654): in particolare, quando siano contrari alle norme dell’etica corrente e del comune vivere civile (Cass. 1 dicembre 2014, n. 25380).
3.3. In ogni caso, la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare: da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale;dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale in concreto da giustificare la massima sanzione disciplinare (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 18 settembre 2012, n. 15654; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 13 dicembre 2010, n. 25144). Inoltre, la sussistenza di una giusta causa di licenziamento va accertata in relazione sia alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore (desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi nonché dall’intensità dell’elemento intenzionale), sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta: per la quale ultima rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante in tal senso la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza (Cass. 24 novembre 2016, n. 24023; Cass. 16 ottobre 2015, n. 21017; Cass. 4 marzo 2013, n. 5280; Cass. 13 febbraio 2012, n. 2013)."
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 maggio – 10 novembre 2017, n. 26679
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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità. Per questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo