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Durata del patto di non concorrenza, decorrenza dalla cessazione del rapporto di collaborazione.

tag  durata  patto  non concorrenza 

17/01/2014


L'articolo 2593 del codice civile prevede esplicitamente che il patto di non concorrenza del lavoratore subordinato o parasubordinato "non può eccedere la durata di 5 anni". L'articolo 2125 del codice civile specifica che per i lavoratori subordinati non dirigenti il patto di non concorrenza non può essere, comunque, superiore a tre anni.
La corte di cassazione con fresca sentenza, depositata il 23 luglio 2008 n. 20.312, interpretando la normativa sopra richiamata ha affermato che " per i contratti di collaborazione, quale quello di lavoro parasubordinato, nella durata massima dell’eventuale patto accessorio di non concorrenza non può essere compreso il tempo di svolgimento della collaborazione onde la stessa durata non inizia prima della cessazione del contratto. Infatti durante lo svolgimento di questo l’obbligo di astenersi dalla concorrenza, connaturale ad ogni rapporto di collaborazione economica, renderebbe inutile ossia privo di causa il patto accessorio".
Il principio richiamato dalla corte di cassazione è stato espresso esaminando una prestazione di collaborazione coordinata e continuativa. Ma il principio affermato dalla corte di prestazione, a maggior ragione, si applica al rapporto di lavoro subordinato per il quale vige il particolare obbligo di fedeltà, durante la prestazione lavorativa, previsto dall'articolo 2105 del codice civile ("Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.").
La corte di cassazione nella richiamata sentenza ha confermato la condanna del prestatore d'opera coordinato e continuativo al risarcimento del danno a favore del committente per aver violato il patto di non concorrenza.

Milano 25 agosto 2008.

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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di caritàPer questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo