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Autovelox: la partita si gioca anche alla Consulta

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07/01/2014

La dibattuta questione delle contravvenzioni elevate per mezzo dei dispositivi "autovelox" arriva anche avanti la Corte Costituzionale, che decide con la recente sentenza del 4 luglio 2007, n. 277.

La Corte è stata chiamata a decidere se la mancata previsione delle revisioni periodiche di dette apparecchiature violi: 
a) l'art. 3 Cost., sotto il profilo del difetto di ragionevolezza, perché – senza giustificazioni – la verificazione (taratura) periodica è prevista nell'ordinamento solo per gli strumenti di misura nelle transazioni commerciali e non per gli strumenti di rilevazione della velocità, che sono comunque strumenti di misura; 
b) l'art. 24 Cost., poiché la persona assoggettata all'accertamento si troverebbe «nell'impossibilità di esercitare il proprio diritto di difesa», essendo l'apparecchio, una volta omologato, soggetto ad una presunzione di buon funzionamento non verificabile in alcun modo, data anche l'irripetibilità dell'accertamento, e mancando uno strumento che a posteriori permetta di risalire alla sua corretta funzionalità; 
c) l'art. 111 Cost., atteso che l'irripetibilità dell'accertamento e l'impossibilità per l'interessato di verificare successivamente il corretto funzionamento dell'apparecchio, lederebbero il principio della parità tra le parti processuali, godendo l'amministrazione di una presunzione di verità dell'accertamento, nonostante l'assenza dell'obbligo di un controllo periodico della funzionalità dello strumento di rilevazione.

Più in particolare è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) «nella parte in cui non prevede che le apparecchiature destinate all'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche della funzionalità (taratura)». Si ipotizzava allora il contrasto della norma riportata con più parametri costituzionali:

- sotto il profilo del difetto di ragionevolezza, perché, senza giustificazioni, la revisione è prevista solo per gli strumenti di misura nelle transazioni commerciali (d.m. 28 marzo 2000, n. 182) e non per gli strumenti di rilevazione della velocità, che sono comunque strumenti di misura (velocità=spazio/tempo);
- l'apparecchio, una volta omologato, è soggetto ad una presunzione di buon funzionamento non verificabile in alcun modo, data anche l'irripetibilità dell'accertamento; e, mancando uno strumento che a posteriori permetta di risalire alla sua corretta funzionalità, la persona assoggettata all'accertamento si troverebbe nell'impossibilità di esercitare il proprio diritto di difesa;
- l'irripetibilità dell'accertamento e l'impossibilità per l'interessato di verificare successivamente il corretto funzionamento dell'apparecchio lederebbero il principio della parità tra le parti processuali, godendo l'amministrazione di una presunzione di verità dell'accertamento, nonostante l'assenza dell'obbligo di un controllo periodico circa la funzionalità dell'apparecchio di rilevazione.

Per l'Avvocatura Generale dello Stato, però, la questione era infondata:

- la taratura degli strumenti utilizzati nelle transazioni commerciali è imposta per la necessità di garantire la maggiore certezza possibile ai commerci, mentre nel caso di specie la «tutela concerne profili di incolumità pubblica»;
- gli organi di polizia stradale sono soltanto tenuti a «rispettare le modalità di installazione e di impiego previste nei manuali d'uso» ed è perciò esclusa la necessità di un controllo periodico, se non espressamente richiesto dal costruttore nel manuale d'uso depositato presso il Ministero dei trasporti. Quindi, per le apparecchiature destinate ad essere impiegate solo in presenza di un operatore, la verifica della loro corretta funzionalità è realizzata dagli stessi operatori di polizia che, prima di metterle in uso, devono verificarne la corretta installazione secondo le istruzioni del costruttore e, durante il servizio, devono vigilare su eventuali anomalie e malfunzionamenti. Invece, i misuratori di velocità automatici, utilizzati senza la presenza dell'operatore di polizia, devono essere sottoposti ad una verifica metrologica presso la casa costruttrice, ovvero presso uno dei soggetti accreditati presso i centri di taratura ai sensi della legge n. 273 del 1991, con cadenza annuale o conformemente alle indicazioni contenute nel certificato di approvazione e nelle istruzioni di funzionamento fornite dal costruttore;
- il verbale di accertamento prova, sino a querela di falso, che lo strumento rilevatore ha fornito all'agente i dati nel luogo e nel tempo indicato, mentre il regolare funzionamento dello strumento è certo sino a prova contraria, «che può essere data dall'opponente, anche a mezzo di testimoni, in base alla dimostrazione del difetto di funzionamento di tali dispositivi, da fornirsi in base a concrete circostanze di fatto (Cass. n. 13591 del 2006).

Alla fine, la Corte Costituzionale ha dichiarato che la questione non è fondata: il D.M. 182 del 2000 si riferisce ad altra materia (gli strumenti di misura utilizzati per la determinazione della quantità e/o del prezzo nelle transazioni commerciali), non comparabile con la misurazione della velocità ai fini dell'accertamento delle violazioni del codice della strada. Quindi - conclude la Consulta - l'erronea individuazione della norma indicata come termine di comparazione non consente al giudice rimettente di affermare che, data l'irripetibilità dell'accertamento, la mancata previsione di tarature periodiche per assicurare la funzionalità dello strumento di rilevazione della velocità violi gli artt. 24 e 111 Cost..

24 luglio 2007

Avv. Maurizio F. Zanaboni

 

Responsabilità dei padroni e dei committenti.

I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. art. 2049 cod. civ.

Risarcimento per fatto illecito

Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno  

Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri.

Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile , al danneggiato è dovuta un'indennità , la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice.

Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno  prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli .Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l'usufruttuario o l'acquirente con patto di riservato dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà.

Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose.

Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. art.2050 cod. civ.

Responsabilità solidale

Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dalla entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali. ART. 2055 Cod. civ.

Rovina di edificio.

Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. Art. 2053 cod. civ.