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Trasferimento del lavoratore, non occorre subito la motivazione

Inversione di rotta della giurisprudenza della Cassazione in un’ormai consolidata prassi giurisprudenziale secondo la quale vige l’obbligo, per il datore, di porre il dipendente in grado di conoscere i motivi del trasferimento. Nel caso in questione un lavoratore ingiustamente trasferito ha fatto ricorso dopo che, in assenza di comunicazione delle ragioni del trasferimento, non si è presentato nel nuovo posto di lavoro subendo così un illecito disciplinare. Secondo i giudici infatti “il provvedimento di trasferimento non deve necessariamente recare i motivi, né quindi vi era l’obbligo dell’impresa di rispondere alla richiesta avanzata in tal senso dal lavoratore, non essendo prescritto, per il provvedimento di trasferimento, alcun onere di forma, salvo poi l’onere probatorio del datore di dimostrare in giudizio le circostanze che lo giustificano ai sensi dell’art. 2103 codice civile”.

Cass. Sezione lavoro, 5.01.2007 n. 43

Milano 15/01/2007

Il trasferimento

Il datore di lavoro può trasferire il lavoratore dal luogo di lavoro presso il quale ha prestato normalmente la sua attività lavorativa. Il trasferimento da un'unità produttiva all'altra, però, può essere adottato solo in presenza di "comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive".  Senza queste esigenze oggettive il trasferimento è illegittimo. Il lavoratore, avuta comunicazione del trasferimento, può chiedere che il datore di lavoro gli fornisca la motivazione del provvedimento. Il provvedimento di trasferimento, se contestato dal lavoratore, deve essere impugnato con immediatezza, entro 60 giorni dalla sua comunicazione. Nei successivi 180 giorni, poi, occorre depositare il ricorso avanti il giudice del lavoro. L'inosservanza di questi termini comporta la definitività del provvedimento. È opportuno che il lavoratore esegua momentaneamente l'ordine di trasferimento anche se lo dovesse ritenere illegittimo, al fine di impedire insubordinazioni o assenze ingiustificate dal lavoro.