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La quota parte dei contributi gravante sul dipendente resta a carico del datore di lavoro inadempiente

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19/08/2021

Questo obbligo è conseguenza del ritardo datoriale del pagamento delle retribuzioni all’epoca maturate

Il fatto
1. La Corte d' Appello di Lecce, ha accertato contro l’Università del Salento
il diritto di una dipendente a percepire, a decorrere dal 14 luglio 1997, il trattamento economico spettante al ricercatore confermato a tempo definito in relazione all'impegno orario indicato nei contratti individuali di lavoro, con la conseguente condanna dell'Università al pagamento delle differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione contributiva.
In corso di causa l'Ateneo aveva dato esecuzione alla statuizione di condanna generica e, nel
quantificare le somme spettanti alla lavoratrice, aveva detratto dall'importo complessivo la quota
parte dei contributi gravante su di essa per complessivi euro 13.090,92.
Il giudice d'appello ha escluso la legittimità della trattenuta ed ha rilevato che ai sensi
dell'art. 23 della legge n. 218/1952 la quota grava sul datore nei casi in cui il pagamento della
contribuzione non sia tempestivo.
Contro la sentenza ha proposto ricorso in Cassazione l'Università del Salento denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 23 della legge n. 218/1952 evidenziando che l'obbligo per il datore di versare all'Inps anche la quota che grava sul lavoratore sorge solo in caso di pagamento parziale o di ritardato pagamento, non ravvisabile nella fattispecie perché l'Università aveva regolarizzato la posizione contributiva ottemperando tempestivamente alla sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il diritto al maggior trattamento del ricercatore a tempo definito. Prima della formazione del titolo giudiziale l'Ateneo aveva eseguito i versamenti «nella misura corrispondente allo status del dipendente in quel determinato periodo di riferimento».

Il diritto.

La Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Ateneo “perché la sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte secondo cui, ai sensi degli artt. 19 e 23 della legge n. 218/1952, il datore di lavoro può legittimamente operare la ritenuta solo se corrisponde tempestivamente all'ente previdenziale la quota retributiva a carico del lavoratore. Qualora, invece, il pagamento avvenga in ritardo, rispetto ai termini imposti dal rapporto previdenziale, la ritenuta non è consentita, perché in tal caso «il credito retributivo si estende automaticamente alla quota contributiva a carico del lavoratore, che diviene perciò parte della retribuzione a lui spettante» ( cfr. Cass. n. 18897/2019; Cass. n. 25956/2017; Cass. n. 23426/2016, Cass. n. 18044/2015 e Cass. n. 19790/2011).
È stato precisato al riguardo che, ai fini della tempestività del versamento, non rileva la
data della pronuncia giudiziale che accerta il diritto alle differenze retributive, bensì quella in cui il diritto stesso è maturato (Cass. n. 22379/2015). L'inadempimento, infatti, sorge al
momento del mancato pagamento degli importi dovuti e l'intervento del giudice che lo accerta, condannando il datore ad effettuare la prestazione non correttamente adempiuta, non è idoneo a differire il termine a partire dal quale l'obbligazione contributiva, connessa a quella retributiva, deve essere adempiuta.”
Cassazione Civile Sent. Sez. Lavoro num. 23071 Anno 2021.Data pubblicazione: 18/08/2021.

 

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