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Il giudice non è vincolato dalle norme disciplinari del contratto collettivo

Il controllo giurisdizionale sulla proporzione della sanzione appartiene sempre al giudice che lo deve valutare secondo i principi del codice civile

Il datore di lavoro contesta al lavoratore la scarsità di rendimento in relazione alla fornitura di un lotto di 30 pezzi e la recidiva in due precedenti condotte che erano state punite con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione. Il tribunale e la corte di appello hanno rigettato l'impugnazione del licenziamento intimato con il preavviso. Ha proposto ricorso in cassazione il lavoratore lamentando la erroneità in diritto delle sentenze hanno statuito sulla legittimità del suo licenziamento disciplinare. La cassazione, decidendo sul ricorso del lavoratore, ha affermato che la sentenza è giuridicamente corretta perché ha rigettato l'impugnazione del licenziamento non in conseguenza di una meccanica applicazione della previsione del contratto collettivo che consentiva il recesso per giustificato motivo soggettivo in presenza di due precedenti sospensioni dal lavoro comminate al lavoratore ma dall'autonoma valutazion dei fatti da parte dei giudici fondata sulla prognosi negativa in ordine al miglioramento dei rapporti e all'aumento di diligenza nell'esecuzione della prestazione da parte del lavoratore. Per la cassazione, sia il tribunale che la corte di appello hanno correttamente escluso "la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell'irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo anche in presenza di previsione collettiva, il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto addebitato".

Le norme del contratto collettivo, che disciplinano l'esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, non vincolano il giudice che, in materia di licenziamento disciplinare, dovrà far sempre riferimento alla nozione di giusta causa così come definita dall'articolo 2119 del codice civile.


Cassazione sez. lav.  28/01/2019, n. 2289.

 

Nel dipinto: Deucalione e Pirra; da Villa Farnesina, Roma.

Il contratto collettivo peggiorativo

Nell'ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni "in peius" per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall'esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 c.c.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale. cassazione civile sez. lav.  19 giugno 2014 n. 13960  

Il contratto collettivo non si applica a tutti

I contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l'unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l'esplicito dissenso dall'accordo e potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale separato. Cassazione civile sez. lav.  18 aprile 2012 n. 6044