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Una cassiera utilizza la carta fedeltà dimenticata da una cliente

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02/02/2020

Perde il posto di lavoro ma con il riconoscimento di 15 mensilità di indennità risarcitoria

Una lavoratrice con mansioni di cassiera utilizza per la propria spesa, a fine turno di cassa nel supermercato della SMA s.p.a. presso cui lavorava, una carta fedeltà dimenticata da una cliente, in violazione del regolamento aziendale da lei ben conosciuto (avendo lavorato ivi oltre dieci anni).La carte fedeltà avrebbe dovuto restituirla alla titolare e non utilizzarla personalmente per i suoi acquisti.

La società, venuta a conoscenza del fatto le contestata il comportamento perché lo ha ritenuto una gravissima violazione dei doveri contrattuali. All’esito della procedura le intima il licenziamento immediato per giusta causa. La lavoratrice, nei 60 giorni, impugna in modo tempestivo il licenziamento. Il Tribunale, accogliendo il ricorso della lavoratrice ordina al datore di lavoro la reintegrazione nel posto di lavoro con la corresponsione delle retribuzioni mensili perse ma la Corte di Appello, riforma parzialmente la sentenza e riconosce alla lavoratrice la sola indennità risarcitoria che fissa in 15 mesi, senza la reintegrazione nel posto di lavoro.

Il Tribunale e la Corte di Appello nelle loro motivazioni hanno evidenziato come il supermercato avesse subito da questa condotta della cassiera un modesto danno (avendo cumulato la cliente sulla carta fedeltà indebitamente utilizzata 750 punti per un importo di Euro 5,00).

L’azienda insoddisfatta della decisione ha proposto ricorso per Cassazione, sostenendo la legittimità del licenziamento. Anche la lavoratrice ha proposto l’impugnazione ritenendo di avere diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e non alla semplice indennità risarcitoria.

La Cassazione ha respinto entrambi i ricorsi delle parti ritenendoli infondati. Nell’occasione la Cassazione ha affermato che “L'art. 18, quarto comma 1. cit. riconosce la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto contestato, nonché nelle ipotesi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore. La non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra, invece, nel suddetto quarto comma quando dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari applicabili, risulti la previsione per esso di una sanzione conservativa; qualora ciò non si verifichi, si realizzano le "altre ipotesi" di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali il quinto comma dell'art. 18 prevede la tutela indennitaria ed. forte (Cass. 25 maggio 2017, n. 13178; Cass. 16 luglio 2018, n. 18823).
Qualora vi sia dunque sproporzione tra sanzione e infrazione, deve essere riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta addebitata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa: così ricadendo pertanto il difetto di proporzionalità tra le "altre ipotesi" stabilite dall'art. 18, quinto comma, in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento ed è accordata la tutela indennitaria c.d. forte (Cass. 12 ottobre 2018, n. 25534; Cass. 20 maggio 2019, n. 13533).”.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 2238/19; depositata il 30 gennaio.

Il danno per il datore di lavoro è stato modestissimo ma la lesione del vincolo di fiducia tra le parti e le previsioni del contratto collettivo hanno fatto sì che il rapporto di lavoro non potesse più proseguire. E fosse chiuso solo con il riconoscimento dell’indennità risarcitoria di 15 mesi. La legge in astratto prevedeva una indennità da 12 a 24 mesi. La Corte di Appello ha riconosciuto 15 mesi.

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