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Già dal 1956 esisteva l’obbligo per le aziende di eliminare le polveri di amianto dai luoghi di lavoro

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14/06/2019

L’azienda condannata a risarcire i danni a moglie e figli

La moglie e i figli di un dipendente della Italsider spa deceduto in conseguenza di un mesotelioma pleurico hanno convenuto in giudizio la società datrice di lavoro al fine di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale spettante al lavoratore deceduto a causa della malattia contratta sul lavoro, dedotto quanto già percepito dall’Inail a copertura del danno biologico fino al decesso. Gli eredi hanno chiesto anche il risarcimento dei danni  spettante per la perdita del congiunto.

Il tribunale, dopo aver istruito la causa, ha ritenuto provata la responsabilità del datore del lavoro e l’ha condannato a risarcire il danno biologico differenziale e il danno non patrimoniale diretto spettante a ciascuno degli eredi.

Il lavoratore aveva prestato la sua attività lavorativa con esposizione alle fibre di amianto che ha inalato negli anni della sua attività. Processualmente non era emersa la circostanza che il lavoratore fosse stato esposto alle fibre di amianto anche in altre attività lavorative  a favore di terzi datori di lavoro.

La sentenza è stata confermata in appello.

Ha fatto ricorso in cassazione la datrice di lavoro sostenendone l’erroneità.

La Cassazione ha respinto il ricorso e ha evidenziato che la consulenza tecnica d’ufficio aveva affermato che la causa del decesso era riscontrabile nell’esposizione del lavoratore alle fibre di amianto presso l’azienda datrice di lavoro; questa è stata  la causa logica più probabile della malattia che ha portato al decesso del lavoratore.

Quel che conta per la Cassazione è che i giudici di merito abbiano accertato che il lavoratore, nell’espletamento del proprio lavoro alle dipendenze della società, era stato esposto con continuità alla inalazione di fibre di amianto senza che il datore di lavoro avesse provveduto a adottatore le misure e le cautele per evitarlo. Già all’epoca dei fatti, negli anni 70 e 80,  era nota la pericolosità dell’amianto tanto che il d.p.r. numero 303 del 1956 prevedeva già particolari cautele dirette a prevenire il rischio di malattie respiratorie connesse all’ inalazione di polveri anche di amianto. Quantomeno nell’occasione vi era l’obbligo aziendale di fare svolgere il lavoro solo in presenza di sistemi di aspirazione adottando misure idonee a catturare le polveri e a impedirne la diffusione. Nel caso specifico all’esame dei giudici, invece, è emerso che l’utilizzo delle mascherine era saltuario e senza controllo mentre gli aspiratori posizionati sui forni ottenevano il risultato di produrre una maggiore diffusione delle polveri nel capannone anziché rimuoverle in modo definitivo.

Cassazione n. 15.761 pubblicata il 12 giugno 2019.

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