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L’ambiente ostile e stressante, tollerato dal datore di lavoro costituisce violazione dei doveri di tutela del datore di lavoro

tag  News  responsabilità  mobbing  ambiente  ostile 

03/04/2018

Responsabilità del datore di lavoro

Un lavoratore con incarico dirigenziale, dopo essere stato allontanato dalla direzione generale della banca è stato inserito in una piccola filiale composta da tre persone; in questa filiale il lavoratore è stato accompagnato da un diffuso atteggiamento ostile e di scherno, realizzatosi anche mediante diffusione di lettere nell’agenzia, in assenza di qualsivoglia iniziativa datoriale volta a tutelare il dipendente. Il tribunale e la corte di appello hanno condannato la banca al risarcimento dei danni a favore del lavoratore. La responsabilità della banca è stata configurata per l'esistenza di una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato in cui il lavoratore avrebbe subito azioni ostili anche se limitate nel numero e in parte distanziate nel tempo (quindi non rientranti, tout court, nei parametri del mobbing) ma tali da provocare in lui una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, atta ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato, essendo il datore di lavoro tenuto ad evitare situazioni "stressogene" che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio (sul punto, Cass. n. 3291 del 2016).
Questo stress forzato, secondo la giurisprudenza della cassazione, (cfr.Cass. n. 3291 del 2016 cit.) può anche derivare, tout court, dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di lavoro ostile, per incuria e disinteresse nei confronti del suo benessere lavorativo con conseguente violazione da parte datoriale del disposto di cui all’art. 2087 cod. civ.
La banca è stata condannata al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal lavoratore; il danno non patrimoniale, per la cassazione, va "inteso come lesione del diritto al normale svolgimento della vita lavorativa ed alla libera e piena esplicazione della propria personalità sul luogo di lavoro - anche nel significato "areddituale" della professionalità - quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea". La liquidazione di questo danno può essere effettuata anche in via equitativa.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza n. 7844/18; depositata il 29 marzo.

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