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Legittimo il patto di demansionamento, se l’alternativa è un trasferimento a 150 km di distanza.

Prevale l'interesse a mantenere il posto di lavoro

Il caso in esame è relativo al giudizio promosso da un lavoratore per far accertare l’illegittimità del demansionamento subito in seguito alla sottoscrizione di un patto con il datore di lavoro, avente la finalità, dovuta alla soppressione dell’ufficio presso il quale svolgeva l’attività lavorativa, di evitare il trasferimento ad altra sede di lavoro distante 150 km dalla propria residenza.
I giudici di merito hanno riconosciuto la validità di tale patto concluso dalle parti in deroga all’art. 2103 c.c., attestata la presenza di obiettive ragioni relative all’interesse per il lavoratore a non veder modificata radicalmente la propria condizione di vita, aprendo la possibilità di negoziare il diritto alla sede con quello alle mansioni.

La Cassazione è unitaria nel ritenere che l’art. 2103 cod. civ., che sancisce il divieto di reformatio in peius delle mansioni del lavoratore, riconosca a quest’ultimo una protezione tendenzialmente inderogabile, salve le deroghe espressamente previste dalla legge. Più in generale, l’orientamento dominante consente di derogare alla norma in ogni ipotesi, anche non prevista espressamente dalla legge, in cui la variazione in peius delle mansioni corrisponda all’interesse del lavoratore ad evitare un licenziamento altrimenti inevitabile.

In punto di diritto, la Cassazione ha quindi stabilito che in questa fattispecie “il rifiuto preventivo del lavoratore al trasferimento, ingiustificato per il verificato legittimo esercizio dello ius variandi, si sarebbe risolto in un esito estintivo del rapporto, per effetto del licenziamento datoriale”. Una volta accertata, quindi, l’astratta legittimità del licenziamento, la Corte ha ritenuto, enunciando il seguente principio di diritto, che è “legittimo il patto di demansionamento che, sottoscritto dal lavoratore che manifesti un consenso non affetto da vizi della volontà, ai soli fini di evitare un licenziamento, gli attribuisca mansioni inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito, in mancanza di diverse soluzioni alternative all'estinzione del rapporto di lavoro: a tale condizione essendo equiparabile la fattispecie integrata da presupposti fattuali prodromici al licenziamento (quali, nel caso di specie, il rifiuto di trasferimento a sede di lavoro diversa, distante oltre centocinquanta chilometri da quella di precedente prestazione dell'attività lavorativa, non più ivi esercitabile nelle mansioni medesime o corrispondenti, per soppressione della relativa unità)

L’analogia tra la fattispecie in questione ed il licenziamento rende, pertanto, applicabili i principi enunciati dal consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di deroga al divieto della reformatio in peius delle mansioni del lavoratore, con conseguente legittimità del patto di demansionamento stipulato dal ricorrente.