19/11/2021
Nel 2015 una cooperativa irrogava alla dipendente, operaria di II livello del CCNL imprese di pulizia e servizi integrativi/multiservizi e con mansioni di portiera, la sanzione del licenziamento con preavviso "ai sensi e per gli effetti dell'art. 48 lett. A comma d) del CCNL di categoria" perché era stata sorpresa dal suo referente di cantiere mentre dormiva all'interno della sua autovettura parcheggiata sotto i portici, zona dove era assolutamente vietato il transito per motivi di sicurezza. La lavoratrice impugnava il licenziamento.
il Tribunale, sia in fase sommaria che con sentenza, rigettava l’impugnazione proposta dalla lavoratrice ritenendo fondato il licenziamento. La Corte di Appello, però, accoglieva il reclamo proposto dalla lavoratrice e, in riforma della impugnata sentenza, dichiarava risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti con effetto dalla data del licenziamento e condannava la società al pagamento, in favore della lavoratrice, di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto oltre
La Corte di Appello, riesaminando i fatti di causa, ha rilevato che: “1) il fatto disciplinare contestato era sussistente; 2) la condotta in esame era connotata dai requisiti di coscienza e volontarietà del fatto; 3) l'attività di portiere, svolta dalla lavoratrice, non era equiparabile a quella di guardia giurata ed era stata corretta la sussunzione del fatto nella previsione contrattuale di cui all'art. 48 sub. A) lett. d) e non già tra quelle meritevoli delle più blande sanzioni di cui all'art. 47 del CCNL adottato; 4) non vi era, però, proporzione tra fatto e sanzione per cui andava applicata l'ipotesi di cui all'art. 18 co. 5 legge n. 300 del 1970”. Questa ipotesi prevede che il licenziamento sia dichiarato illegittimo ma senza reintegrazione nel posto di lavoro, con la sola conseguenza risarcitoria, da riconoscersi al lavoratore nella misura che va da 12 a 24 mensilità di retribuzione.
Contro la decisione ha proposto ricorso per Cassazione la datrice di lavoro lamentando che la Corte di Appello, non aveva correttamente applicato il contratto collettivo che per quel tipo di infrazione ha previsto il licenziamento.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso datoriale perché, la Corte di Appello “si è attenuta al principio, che oramai può ritenersi consolidato in sede di legittimità, secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nella attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all'art. 2119 cod. civ.”.
La Corte di Cassazione ha richiamato i numerosi suoi precedenti che confermano questo indirizzo, aggiungendo che “Va sottolineato che la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo soggettivo, sono nozioni legali rispetto alle quali non sono vincolanti - al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo - le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa e non precludono l'autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità delle specifiche condotte a compromettere il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore, con il solo limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione . Solo per completezza, deve sottolinearsi che l'obbligo del giudice di valutare la legittimità del licenziamento disciplinare, quanto alla proporzionalità della sanzione, anche attraverso le previsioni contenute nei contratti collettivi, trova un fondamento normativo nella legge n. 183 del 2010, che all'art. 30 co. 3 ha testualmente previsto: <nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276 e successive modificazioni>. Le previsioni della contrattazione collettiva, pertanto, non vincolano il giudice di merito, con il solo limite prima indicato, e la scala valoriale recepita dalle parti sociali non esclude, comunque, la valutazione sulla proporzionalità della sanzione in ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo. In altri termini, l'espressa tipizzazione della fattispecie da parte della contrattazione collettiva comunque richiede la mediazione della valutazione del giudice sull'accertamento della proporzione tra sanzione e fatto, con conseguente sua rilevanza in tema di individuazione delle conseguenze”.
Per la Cassazione, in materia di licenziamento disciplinare, le norme che prevalgono su ogni altra disciplina, ivi comprese le previsioni del contratto collettivo, sono quelle degli articoli 2119 e 2106 del Codice civile.
Cassazione Civile sentenza Sez. lavoro Num. 34422 Data pubblicazione: 15/11/2021.
Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi
Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).
La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.
L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003).
ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.
ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.
ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.
In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.