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Patto di prova: la ripetizione in due successivi contratti non sempre è illegittima

La ricorrente aveva instaurato una controversia presso il Tribunale di Roma deducendo di essere stata assunta con contratto a tempo determinato il 17 gennaio 2002,  e di avere sottoscritto, il 14 luglio 2006, un  verbale di conciliazione in sede sindacale, nel quale, a fronte della rinuncia ad ogni pretesa relativa a quel contratto, era stata inserita in una graduatoria dalla quale Poste italiane avrebbe attinto per il reclutamento del personale. Con decorrenza 15 settembre 2008, quindi, la ricorrente aveva stipulato un contratto a tempo pieno ed indeterminato, ma dopo soli pochi mesi, Poste Italiane le aveva comunicato il recesso dal contratto. La ricorrente impugnò tale atto di recesso, deducendone l’illegittimità e chiedendo la condanna della datrice di lavoro alla reintegrazione ex art. 18 l. .n. 300/1970. La domanda venne accolta dal Tribunale, mentre la Corte d’Appello riformò la pronuncia di primo grado, accogliendo il gravame proposto dalla società datrice di lavoro.

La ricorrente, fra i vari motivi di legittimità rilevati dinanzi alla corte, ha evidenziato, in particolare, l’illegittimità del licenziamento per nullità del patto di prova a seguito della mancata indicazione delle mansioni specifiche alle quali sarebbe stata addetta, non essendo sufficiente la generica indicazione di mansioni identiche a quelle già espletate con il contratto di lavoro a tempo determinato e, pertanto, non richiedenti patto di prova.

In punto di diritto, la Corte di Cassazione ha statuito che “nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l’illegittimità del fatto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro”, con la conseguenza che “la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile se essa, in base all'apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all'imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l'intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute (Cass., n. 10440 del 2012).

Infatti, la Corte ha precisato che la prestazione relativa al primo contratto aveva avuto una durata di soli tre mesi, ma soprattutto che tra la cessazione di efficacia del primo contratto e l'inizio del secondo era trascorso un notevole lasso di tempo (circa sei anni e mezzo) durante il quale la strumentazione, le procedure e le modalità di svolgimento del servizio di recapito erano state ragionevolmente oggetto di trasformazione ed evoluzione, in ciò legittimando un nuovo patto di prova sulle medesime mansioni.

(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 19043/15; depositata il 25 settembre)

Pandora, la prima donna della mitologia greca che inaugura la discriminazione di genere

 Narra un mito greco che la prima donna mandata sulla terra dagli dei fosse Pandora, e che fosse stata inviata per punire gli uomini della loro superbia. In un tempo lontanissimo, infatti, sulla terra esistevano solo esseri di sesso maschile, quando l’eroe Prometeo (colui che guarda avanti), amico degli uomini, volle portar loro il fuoco e quindi il progresso.  Gli dei, irati per questo atto di disobbedienza, condannarono Prometeo ad una pena atroce e gli uomini ad aver bisogno delle donne.  A Pandora gli dei avevano donato sia un bell’aspetto che un cuore menzognero ed un’indole ambigua. La prima donna era stata definita “un male così bello” che nessuno le poteva sfuggire.   Ora, il fratello di Prometeo,  che si chiamava Epimeteo, un giovane impulsivo che non pensava alle conseguenze delle sue azioni ( il suo nome significa “vedo dopo”), si invaghì di Pandora e la portò nella sua casa. Alla donna era stato detto che non avrebbe dovuto mai aprire un certo vaso: quale migliore raccomandazione per cedere alla tentazione di aprirlo? Il vaso venne aperto. Fu così che tutti i mali, prima sconosciuti agli esseri umani, si diffusero sulla terra. Ma, per fortuna, sul fondo del vaso rimase attaccata solo la speranza, unica consolazione per l’umanità. 

 Il mito greco con questa narrazione ci fornisce la spiegazione sulle ragioni della differenza di genere attribuendo la radice di tutti i mali del mondo alla donna. Nella mitologia greca e nei secoli successivi, la posizione della donna è stata sempre connotata da emarginazione e discriminazione perché nel pensiero filosofico le si è attribuita la causa di tutti i mali del mondo. La donna nella nostra storia meno recente non ha mai avuto ruoli, tranne rarissimi casi. A questa concezione negativa della mitologia greca fa da parallelo, sulla riva opposta del mare Egeo, anche la narrazione del libro della genesi con la figura di Eva che, con il suo comportamento, ha causato la sua definitiva cacciata, insieme a quella di Adamo, dal paradiso terrestre. La cultura occidentale moderna affonda le sue radici nella storia e nei valori greco-giudaico-cristiani. Ben si comprende, quindi, la dura lotta delle donne per conquistare nell'epoca moderna la parità di genere sul lavoro. Pandora ed Eva, anche ai giorni nostri, costituiscono il subconscio e la subcultura con cui occorre confrontarsi nella lotta quotidiana per conquistare la parità di genere nella società, nelle istituzioni e anche sul luogo di lavoro.  

 

Divieto di discriminazione
è vietata la discriminazione fondata sul sesso avente ad oggetto:
l'accesso al lavoro, il trattamento retributivo, i premi, la qualifica,  le mansioni, la carriera e ogni altro aspetto del trattamento economico e normativo.
la discriminazione può essere diretta o indiretta. La discriminazione indiretta si ha quando un comportamento o una condotta che appaiono essere neutri in realtà discriminano in ragione del sesso.

 Dimissioni e maternità

La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.