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Il premio fedeltà costituisce imponibile previdenziale.

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07/04/2018

Lo dice la Cassazione Sez. Lavoro Num. 5948 del 12 marzo 2018.

Tra l’Inps e un’azienda è sorta controversia sulla qualificazione come imponibile previdenziale di una somma di denaro corrisposta ad un lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro quale premio di fedeltà per essere rimasto a prestare la sua attività. Il tribunale di Milano aveva ritenuto che questa somma non fosse da considerare imponibile previdenziale, La corte di appello ha invece ritenuto che lo fosse.

La cassazione ponendo fine alla controversia ha confermato la sentenza della corte di Appello affermando il principio che si riporta di seguito. 

"Il cosiddetto premio fedeltà, erogato dal datore di lavoro ai propri dipendenti dotati di elevata anzianità di servizio in azienda all'atto della cessazione del rapporto di lavoro - che è un emolumento in denaro corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro e non una liberalità concessa una tantum e non collegata al rendimento del lavoratore o all'andamento aziendale - deve essere incluso nella retribuzione imponibile a fini contributivi, in quanto la suddetta nozione, dettata dall'art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (applicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta in giudizio) è più ampia rispetto alla nozione civilistica di retribuzione, comprendendo non solo il corrispettivo della prestazione lavorativa, ma anche tutto ciò che il lavoratore riceva o abbia diritto di ricevere dal datore di lavoro, in dipendenza del rapporto di lavoro, salvo le voci espressamente escluse dallo stesso articolo 12". "Il "premio di fedeltà", erogato dal datore di lavoro ai propri dipendenti dotati di elevata anzianità di servizio in azienda all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, non può essere assimilato alla indennità di anzianità - esclusa dalla retribuzione imponibile ai fini previdenziali ai sensi dell'art. 12, secondo comma, della legge n. 153 del 1969, - non costituendo una retribuzione differita e proporzionale da erogarsi in favore di tutti i lavoratori, ed essendo condizionato al concorso di altre circostanze, ovvero ad una anzianità minima maturata in azienda." La Corte d'appello di Milano ha, pertanto, colto bene l'analogia col caso sopra richiamato, in quanto è stato puntualmente accertato che anche nella fattispecie la finalità dell'erogazione in esame era quella di stimolare la permanenza dei lavoratori in azienda e, quindi, di "fidelizzarli", non di favorirne l'esodo, con conseguente assoggettabilità a contribuzione dell'indennità in esame. Né appaiono condivisibili le argomentazioni della ricorrente in ordine al fatto che l'indennità in questione veniva erogata al momento della cessazione del rapporto, poiché ciò che rileva, ai fini dell'assoggettabilità di tale premio alla contribuzione, non è il momento della sua corresponsione, bensì la sua natura giuridica che è strettamente connessa alla sua finalità, messa bene in rilievo dalla Corte di merito, e che consente di ritenere che il premio "tre mensilità" non si sottrae alla regola generale della contribuzione di ciò che viene erogato in costanza di rapporto di lavoro. Né appare conferente il richiamo alla circolare dell'Inps, in quanto la stessa presuppone che si tratti di indennità analoga a quella di fine rapporto, situazione, questa, che nella fattispecie è stata esclusa.

Cassazione Sez. Lavoro Num. 5948 del 12 marzo 2018.