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Patto di prova: la ripetizione in due successivi contratti non sempre è illegittima

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02/01/2020

Rilevanti le mansioni e l'intervallo temporale

La ricorrente aveva instaurato una controversia presso il Tribunale di Roma deducendo di essere stata assunta con contratto a tempo determinato il 17 gennaio 2002,  e di avere sottoscritto, il 14 luglio 2006, un  verbale di conciliazione in sede sindacale, nel quale, a fronte della rinuncia ad ogni pretesa relativa a quel contratto, era stata inserita in una graduatoria dalla quale Poste italiane avrebbe attinto per il reclutamento del personale. Con decorrenza 15 settembre 2008, quindi, la ricorrente aveva stipulato un contratto a tempo pieno ed indeterminato, ma dopo soli pochi mesi, Poste Italiane le aveva comunicato il recesso dal contratto. La ricorrente impugnò tale atto di recesso, deducendone l’illegittimità e chiedendo la condanna della datrice di lavoro alla reintegrazione ex art. 18 l. .n. 300/1970. La domanda venne accolta dal Tribunale, mentre la Corte d’Appello riformò la pronuncia di primo grado, accogliendo il gravame proposto dalla società datrice di lavoro.

La ricorrente, fra i vari motivi di legittimità rilevati dinanzi alla corte, ha evidenziato, in particolare, l’illegittimità del licenziamento per nullità del patto di prova a seguito della mancata indicazione delle mansioni specifiche alle quali sarebbe stata addetta, non essendo sufficiente la generica indicazione di mansioni identiche a quelle già espletate con il contratto di lavoro a tempo determinato e, pertanto, non richiedenti patto di prova.

In punto di diritto, la Corte di Cassazione ha statuito che “nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l’illegittimità del fatto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro”, con la conseguenza che “la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile se essa, in base all'apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all'imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l'intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute (Cass., n. 10440 del 2012).

Infatti, la Corte ha precisato che la prestazione relativa al primo contratto aveva avuto una durata di soli tre mesi, ma soprattutto che tra la cessazione di efficacia del primo contratto e l'inizio del secondo era trascorso un notevole lasso di tempo (circa sei anni e mezzo) durante il quale la strumentazione, le procedure e le modalità di svolgimento del servizio di recapito erano state ragionevolmente oggetto di trasformazione ed evoluzione, in ciò legittimando un nuovo patto di prova sulle medesime mansioni.

(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 19043/15; depositata il 25 settembre)

Il patto di prova, contenuti e forma

In occasione della stipulazione di un contratto di lavoro subordinato, le parti possono ben convenire che l’assunzione avvenga con il patto di prova. Inserire in un contratto di lavoro questo patto significa che il datore di lavoro e il lavoratore prima della scadenza del termine finale della prova, possono decidere di sciogliersi liberamente dal contratto. Lo scioglimento può avvenire dall’oggi al domani, senza alcuna conseguenza negativa per il soggetto che assume l’iniziativa di farlo. Chi si scioglie dal rapporto di lavoro non deve dare alcun preavviso e non deve pagare alcuna indennità sostitutiva. Il datore di lavoro non deve dare la prova della sussistenza di un  giustificato motivo o di una giusta causa per poter intimare il licenziamento.

Il patto di prova, però, per essere valido e produrre gli effetti che abbiamo indicato, richiede dei requisiti di forma e di sostanza che possiamo così sintetizzare. Innanzitutto, il patto di prova deve essere concluso in forma scritta. Questa forma è un elemento essenziale. Se le parti dovessero stipulare il patto in forma verbale quel patto sarebbe semplicemente nullo. Non vale niente, come se non fosse mai stato concluso e voluto dalle parti. La nullità del patto di prova significa che il rapporto di lavoro è diventato definitivo e per essere risolto per iniziativa dell’azienda occorrono i rigorosi requisiti previsti dalla legge sulla giustificazione del licenziamento.

Un ulteriore requisito essenziale per la validità del patto di prova è costituito dalla indicazione delle mansioni che dovranno essere oggetto della prova. Le mansioni devono essere ben individuate e specificate nella lettera di assunzione. Le mansioni possono essere individuate anche con il semplice richiamo al contratto collettivo e all’inquadramento. Ma il contratto collettivo così richiamato  deve fornire una conoscenza certa delle specifiche mansioni che dovranno essere oggetto della prova e che il lavoratore è chiamato a svolgere. Se il contratto collettivo in quel livello dovesse prevedere diversi profili professionali, la validità del patto di prova è seriamente compromessa.

Nei mesi o nei giorni della prestazione lavorativa, il lavoratore deve essere effettivamente adibito alle mansioni indicate nella lettera di assunzione. Lealtà esige che le mansioni svolte per provarsi reciprocamente debbano essere quelle volute e indicate nell’atto sottoscritto dalle parti.

La durata della prova varia da contratto collettivo a contratto collettivo e con riferimento al livello di inquadramento attribuito al lavoratore. Più alto è il livello più lungo può essere il patto di prova. La prova di un quadro ha necessità di un periodo di reciproca osservazione più lungo rispetto ad un operaio chiamato a svolgere mansioni semplici e ripetitive. La durata massima non può superare i sei mesi. La durata della prova può essere inferiore rispetto a quella indicata dal contratto collettivo ma non può superare la durata massima prevista dal contratto collettivo.

Il patto di prova può essere inserito anche in un contratto a tempo determinato oppure in un contratto a part time o anche in un contratto a part time e a tempo determinato. La durata della prova in un contratto a tempo determinato può essere più contenuto temporalmente rispetto a un contratto a tempo indeterminato. Per conoscere l’effettiva disciplina bisogna sempre far riferimento al contratto collettivo che si applica al rapporto di lavoro e attenersi scrupolosamente alle sue indicazioni.

Concluso il contratto le parti hanno l’obbligo di esperire la prova per un congruo termine di reciproca osservazione. Lo esige la buona fede nell’esecuzione del contratto.

Un patto di prova ben fatto non fa sorgere problemi nel caso in cui l’azienda prima della scadenza del termine decida di risolvere il rapporto di lavoro. Nel caso in cui il patto dovesse essere nullo e l’impresa dovesse occupare più di 15 addetti, al lavoratore illegittimamente licenziato spetta un risarcimento del danno che va da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità. Se l’impresa è di dimensioni più contenute il risarcimento va da due a sei mensilità della retribuzione. In tutti i casi la retribuzione mensile si calcola facendo riferimento alla retribuzione utile per il calcolo del tfr. Nella realtà sono frequenti i casi di nullità del patto di prova per assenza dei requisiti che abbiamo indicato. I principi sono chiari ma la loro esistenza non sempre è ben conosciuta da chi nell’azienda gestisce le assunzioni e conclude i contratti di lavoro.